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Covid 19

Dai Covid party alla terapia intensiva: “Sono contenti di contagiarsi per avere il Green pass”

Andrea Pizzini, fotografo freelance, a Fanpage.it: “Da un anno sono impegnato nella realizzazione di un documentario nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Bolzano. Tanti giovani arrivano dopo essersi contagiati volontariamente per avere il Green pass senza vaccinarsi”.
A cura di Ida Artiaco
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"Vivo da un anno nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale di Bolzano e ne ho viste di tutti i colori. Ora ad arrivare sono molti pazienti di madrelingua tedesca, no vax che si sono contagiati volontariamente per avere il Green pass con i cosiddetti Covid party". A parlare è Andrea Pizzini, fotografo freelance di 40 anni, impegnato dall'inverno del 2020 in un progetto a lungo termine che vorrebbe pubblicare alla fine della pandemia di Covid-19: si tratta di un documentario che racconta cosa succede in quel reparto di rianimazione durante l'emergenza Coronavirus. Non solo: sempre dal reparto pubblica foto e video sui propri canali social. A Fanpage.it ha spiegato quale è la situazione in Alto Adige, tra le zone d'Italia più colpite dalla quarta ondata di contagi e dove il tasso di vaccinazione è tra i più bassi a livello nazionale.

Andrea, come è nata l'idea di questo progetto?

"Da un anno sono in terapia intensiva a Bolzano, giro un documentario che vorrei poi far uscire a fine pandemia. Lo faccio perché hanno attaccato una mia cara amica che lavora in terapia intensiva, ho voluto così raccontare la sua storia".

Foto di Andrea Pizzini (Facebook: Wellenbrecher).
Foto di Andrea Pizzini (Facebook: Wellenbrecher).

Cosa ci puoi dire a proposito di questi Covid party in Alto Adige?

"Quello che sto vedendo negli ultimi due o tre mesi è che ci sono gruppi di pazienti della stessa zona che arrivano uno dopo l'altro. L'espressione Covid party è folcloristica, le cose sono molto più semplici di come sembrano. Già a settembre si era sentito parlare del primo incontro per contagiarsi, che era stato a Renon, e dopo qualche settimana sono effettivamente arrivati pazienti da questa area, magari non gli stessi che hanno fatto il party ma anche parenti o amici. Poi la stessa cosa è successa in Val Pusteria e ancora in Val Venosta. Ogni volta pensavamo che doveva esserci un collegamento".

E ora?

"Quello che è successo la settimana scorsa è che tre ragazzi che hanno fatto questi incontri nella zona di Bressanone sono finiti all'ospedale per Covid, di cui uno è anche abbastanza grave. Hanno tra i 28 e i 60 anni. Hanno raccontato ai sanitari di essersi incontrati volontariamente per contagiarsi e avere il Green pass. In genere, non sono necessariamente sono feste nel senso stretto del termine. Molti si incontrano anche a casa di qualche positivo, bevono quattro birre e sperano di contagiarsi. Poi ci sono anche locali a disposizione per questo".

Secondo lei perché l'antivaccinismo è così diffuso in questa zona d'Italia?

"È una combinazione di fattori, secondo me e stando a quanto mi raccontano le persone che incontro. Uno di questi motivi è storico: i tirolesi hanno lottato contro Napoleone nel 1800, dopo aver perso i bavaresi hanno introdotto il primo vaccino obbligatorio ai bambini, hanno avuto paura che li avvelenassero. C'è poi anche il contrasto montagna/città: la gente di montagna è sempre restia, soprattutto gli altoatesini delle valli. È per questo che i party avvengono in queste zone, non ho mai sentito di eventi del genere a Bolzano o Merano. C'è poi un'area tedesca che è sempre stata scettica a livello culturale sui vaccini. Tanto è vero che i Covid party ci sono stati anche in Austria.

Un altro fattore è legato direttamente ai leader no vax locali, che non sono come quelli che siamo abituati a vedere in piazza, sono intellettuali. Ci sono gruppi Telegram perfettamente organizzati per fare propaganda e informazione no vax. Si incontrano in bar e ristoranti per discutere senza Green pass e senza mascherine".

Foto di Andrea Pizzini (Facebook: Wellenbrecher).
Foto di Andrea Pizzini (Facebook: Wellenbrecher).

Ha notato delle differenze rispetto alle precedenti ondate dalla pandemia?

"Nell'ondata dell'inverno scorso i ricoverati erano in maggioranza di madrelingua italiana, che sono quelli che socializzano di più e vivono in città e che quindi hanno molti più contatti. Quelli delle valli erano stati un po' più risparmiati. È la prima volta dall'inizio della pandemia, invece, che adesso sono in maggioranza di madrelingua tedesca e una bella fetta dei ricoverati, almeno la metà, è molto arrogante, non collabora con i sanitari. Hanno tutti tra i 28 e i 60 anni, tanti intorno ai 50 anni. Parlo spesso con gli operatori sanitari che mi raccontano di pazienti negazionisti che lottano contro di loro e che non si fanno intubare finché non diventano incoscienti".

Chi finisce in terapia intensiva tra i no vax si pente di questa scelta?

"Molti mi dicono di essersi sbagliati ma non vogliono fare guerra alla famiglia. Ieri ho intervistato una signora di 80 anni che è finita in terapia intensiva dopo che non si è vaccinata perché il figlio a sua volta è un no vax. Ma ora ha voluto raccontare la sua storia perché, mi ha detto: "Io ci ho rimesso quasi la pelle per colpa sua". Molti di loro, anche dopo essere usciti dal reparto, si pentono ma non lo dicono per paura delle figure no vax che ci sono qui, altri sono contenti perché finalmente possono avere il Green pass. Anche io ho ricevuto delle minacce da negazionisti, ho avuto paura per la mia famiglia, per i miei bambini. Ma continuo a fare la mia parte".

Foto di Andrea Pizzini (Facebook: Wellenbrecher).
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