Cugine pattinatrici morte sull’A22, perché è stata condannata la madre: “Poteva evitare lo schianto”

È una sentenza tanto dolorosa quanto complessa quella che cerca di fare luce su una tragedia familiare consumatasi il 27 ottobre 2017 sull’autostrada A22, all’altezza di Mattarello (Trento). Lo scorso marzo infatti il tribunale di Trento ha condannato a due anni di reclusione – con pena sospesa e sospensione della patente per sei mesi – Monica Lorenzatti, madre di Gioia V.C. e zia di Ginevra B.B., le due cugine promesse del pattinaggio artistico morte in un incidente stradale. Stessa condanna anche per Alberto Marchetti, 66enne camionista modenese, riconosciuto anch’egli colpevole di omicidio stradale plurimo in concorso.
Il giudice Massimo Rigon ha inflitto a entrambi una pena più severa rispetto a quanto richiesto dalla pubblica accusa: la pm Alessandra Liverani aveva proposto un anno di reclusione per ciascuno. Ma secondo il magistrato, la dinamica dell’incidente e le responsabilità condivise giustificano una condanna più dura.
Le motivazioni della sentenza
Fulcro della decisione è stato in primis il comportamento del camionista, che secondo la ricostruzione tecnica ha effettuato "una frenata ingiustificata e imprudente", passando da 90 a 7 km/h in appena cinque secondi. Per il giudice, Marchetti "non ha osservato le norme precauzionali", sottovalutando i rischi insiti in un rallentamento così brusco su un tratto autostradale rettilineo, dove "la velocità non è mai ridotta e il rischio di tamponamento è altissimo".
Ma nella tragedia, il Tribunale ha ravvisato una responsabilità anche da parte di Monica Lorenzatti. Nonostante il dolore per la perdita della figlia, della nipote e della sorella Graziella – anche lei in auto e morta venti giorni dopo lo schianto – la donna è stata ritenuta corresponsabile per non aver evitato l’impatto. Alla guida della Ford Focus con le ragazze a bordo, viaggiava a 90 chilometri orari mantenendo una distanza di 30 metri dal mezzo pesante. Secondo il giudice, avrebbe avuto "almeno 70 metri per rallentare, uno spazio sufficiente ad arrestare la marcia o ridurre la velocità prima dell’impatto".
Nessuna prova sul malfunzionamento del camion
I legali di Lorenzatti – Claudio Tasin, Karol Pescosta e Marco Rossi – hanno puntato su due elementi: il presunto guasto alle luci degli stop del camion e l’irregolare montaggio della barra paraincastro del rimorchio. Entrambi, però, sono stati respinti dal giudice, secondo cui l’istruttoria non ha dimostrato il malfunzionamento delle quattro frecce né anomalie strutturali del mezzo pesante: "La barra paraincastro era regolarmente ed efficacemente installata" si legge nella sentenza.
Anche un altro dettaglio emerso in aula ha contribuito ad aggravare il quadro: le due ragazze, sedute sui sedili posteriori, al momento dell’impatto non indossavano le cinture di sicurezza. Secondo i consulenti tecnici, l’abitacolo non ha subito deformazioni tali da compromettere i sedili posteriori: se fossero state correttamente allacciate, forse le giovani avrebbero potuto salvarsi.
Una tragedia evitabile causata da condotte imprudenti
Il giudice ha sottolineato come il camionista "avrebbe dovuto adottare un comportamento più prudente, rallentando lentamente". Tuttavia, la madre "avrebbe potuto e dovuto evitare l’impatto". Una tragedia figlia di due condotte giudicate imprudenti, che si è trasformata in un dramma profondo: "L’aver frenato energicamente e repentinamente senza che vi fosse necessità costituisce un comportamento pericoloso e idoneo a intralciare la circolazione" – ma allo stesso tempo – "lo spazio era sufficiente ad arrestare l’auto", scrive il giudice.
Il risarcimento e il ricorso
Sotto il profilo civile, i parenti delle vittime sono stati risarciti con una cifra superiore a 1 milione e 435 mila euro. Per Monica Lorenzatti, invece, il giudice ha disposto una provvisionale di 250 mila euro, oltre ad altri 15 mila euro per ciascuno dei cugini e zii, per un totale di circa 325 mila euro. Entrambe le difese hanno già annunciato il ricorso in appello.