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Cosa sappiamo dei 14 milioni di dollari che Trump avrebbe donato al Vaticano prima del Conclave

La Santa Sede non ha confermato la donazione, che sarebbe avvenuta nel corso della visita di Trump in Vaticano in occasione dei funerali di Francesco.
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Una enorme somma di quattordici milioni di dollari sarebbe stata versata dal presidente statunitense Donald Trump alla Santa Sede in occasione della sua visita a Roma per il funerale di papa Francesco: la notizia gira da ore, ma, anche se viene data come certa da alcuni organi di stampa, non trova alcuna conferma ufficiale da fonti vaticane. Si tratta di soldi che sarebbero stati versati, dicono i malpensanti, per indirizzare la scelta del nuovo Papa e il fatto che sia stato scelto proprio un americano, Robert Francis Prevost, nato a Chicago, ha fatto scoppiare una vera e propria polemica.

L’ultimo bilancio vaticano parla chiaro: la Santa Sede è in deficit di ben settanta milioni di euro e le enormi spese per l’organizzazione del funerale del pontefice, del conclave e per tutte le celebrazioni collaterali sicuramente non hanno aiutato lo stato delle casse. I quattordici milioni donati da Trump, se la notizia fosse vera, sono una boccata d’ossigeno per uno Stato che vive quasi esclusivamente di donazioni da parte di cattolici e di simpatizzanti, oltre che dei proventi dei Musei Vaticani.

Nelle scorse ore, uno dei vaticanisti italiani più esperti, Aldo Maria Valli, sul suo blog ha scritto che “la scelta di un papa a stelle e strisce ha anche evidenti ragioni economiche. Da tempo le offerte per il Vaticano in arrivo da oltreoceano sono in picchiata. La speranza è che il papa americano possa ridare slancio a un flusso di denaro di cui la Santa Sede ha un gran bisogno, vista la complicata situazione finanziaria”. Certo, pensare che questo sia l’unico motivo per cui i cardinali abbiano scelto Prevost è eccessivo se non addirittura ridicolo, ma lo Stato finanziario della Santa Sede non può che preoccupare i cardinali, che hanno appreso della situazione economico-finanziaria nel corso delle congregazioni generali.

Tra l’altro, il leader dei cardinali statunitensi, l’arcivescovo di New Tork Timothy Dolan, è un trumpiano oltre che leader della ricchissima e potentissima “Fondazione papale americana”, che proprio nelle scorse settimane ha tenuto il suo annuale pellegrinaggio a Roma. Il pellegrinaggio è coinciso, per caso, con il periodo che ha preceduto il conclave e vi hanno partecipato ottanta membri, perlopiù facoltosi, e qualcuno di loro ha fatto intendere che se fosse stato eletto il “Papa giusto” avrebbero potuto aprire maggiormente i cordoni della borsa e rimpinguare, così le casse vaticane. Si parla addirittura, della mostruosa cifra di un miliardo di euro.

Prevost non è da considerarsi trumpiano, ma neppure suo nemico: tra i cardinali statunitensi, però, è forse quello che si riteneva più lontano all’attuale presidente. Leone XIV ha dimostrato, da vescovo e cardinale, di essere un progressista moderato, che ha posizioni aperturiste in materia di contrasto alla povertà e di integrazione dei migranti, ma sulla dottrina è un tradizionalista. Molti cattolici americani hanno mal tollerato un presidente cattolico come Joe Biden, che era favorevole ad aborto, all’eutanasia ed a politiche di supporto alle persone LGBT e, con un Papa più tradizionalista, avrebbero una loro rivincita.  Il “kingmaker” sarebbe stato proprio Dolan, che, comprendendo che Prevost poteva avere delle chance, ha drenato voti dei cardinali americani, facendo poi, pian piano, convergere sul suo nome anche quelli di altri continenti. Solo il tempo, però, dirà quali rapporti Leone XIV avrà con l’amministrazione Trump.

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