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Coronavirus, Zingales: “O qui si fa l’Europa o qui l’Europa muore”

Intervista a Luigi Zingales, professore di Finanza all’Università di Chicago. Le prospettive per l’Italia non sono rosee perché dipendente dal commercio internazionale che vedrà, a causa del coronavirus, una forte contrazione nel 2020.
A cura di Stefano Vergine
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“Se l'Ue non c'è ora, non ci sarà mai più”. Luigi Zingales, nato a Padova 57 anni fa, risponde alle domande di Fanpage.it dagli Stati Uniti, dove il coronavirus sta iniziando adesso a mostrare la la sua violenza. Laurea in Bocconi, un dottorato al Mit di Boston e una cattedra di Finanza alla University of Chicago, Zingales da anni sostiene la necessità di riformare la zona euro per salvare l'Ue. Un cambiamento che ora diventa indispensabile, spiega in questa intervista, altrimenti “si arriverà ad una disgregazione, perché i cittadini avranno la prova che l'Ue non serve quando ce n'è davvero bisogno”.

Professor Zingales, come sarà questa recessione?

Sarà pesante per tutto il mondo, perché ci sarà una paralisi della produzione, ma per l'Italia sarà particolarmente dura. Questo perché il nostro Paese dipende più di altri dal commercio internazionale, che a causa del virus subirà un forte rallentamento. Secondo i calcoli dell'economista Ashoka Mody, per molto tempo vice-direttore del dipartimento europeo al Fondo monetario internazionale, se il commercio internazionale non cresce almeno del 3 per cento in un anno, la crescita del Pil italiano diventa negativa. Quest'anno sicuramente il commercio mondiale non aumenterà del 3 per cento, anzi molto probabilmente diminuirà rispetto ai dati del 2019. Ciò significa una pesante recessione per l'Italia.

Di quanto potrebbe calare il nostro Pil?

Dipende molto da quanto durerà la quarantena. Nel 2009, l'anno peggiore della crisi finanziaria, il Pil italiano diminuì del 5,5 per cento. Dubito che faremo meglio del 2009, a meno che tra due mesi tutto torni normale.

Cosa significherebbe un calo del Pil del 5 per cento o più?

Un colpo molto pesante non solo per la nostra finanza pubblica, ma per l’intero Paese, perché veniamo già da un ventennio difficile. Ancora oggi non ci siamo ripresi, in termini di prodotto interno lordo pro capite, dalla crisi del 2008: avere un'altra crisi di questo tipo ci rimanderebbe ancora più indietro, ai livelli dei primi anni '90. In pratica è come se avessimo perso 30 anni di crescita.

La Commissione europea ha annunciato che il patto di stabilità è sospeso. Questo vuol dire che l'Italia può indebitarsi ulteriormente per aiutare chi è in difficoltà, senza preoccuparsi più delle sanzioni europee. È quello che ci voleva?

E’ il minimo che potesse fare. Il patto prevede deroghe per situazioni eccezionali. Se la Commissione non avesse ritenuto questa una situazione eccezionale, si sarebbe coperta di ridicolo. Ma non basta. La Commissione europea ci sta concedendo di fare più debito, ma a che tassi? Qui stiamo vivendo una tragedia, una specie di guerra, e in un'economia di guerra le banche centrali finanziano lo Stato perché la priorità è vincere la guerra.

Non tutti i Paesi europei vivono però questa guerra allo stesso modo: non tutti sono colpiti dal virus come l'Italia, e molti hanno conti pubblici migliori dell'Italia, cioè meno debito pubblico.

Il punto è che qui o si fa l'Europa o il vero concetto di Europa muore. Se l'Ue non c'è ora, non ci sarà mai più. Se gli italiani non percepiscono l'Ue come un'istituzione vicina, capace di aiutare i suoi membri bisognosi nei momenti di difficoltà, è inevitabile che prima o poi i vari membri si rivoltino contro il vero concetto di Europa. Bruxelles non può pensare di cavarsela così, permettendoci di indebitarci un po' di più a tassi d'interesse di mercato. L'impressione è che la Cina stia aiutando l'Italia più della Germania. Pechino ci manda medici, ventilatori e mascherine; Berlino qualche giorno fa ha bloccato l'invio in Italia di mascherine, anche se poi ha revocato il blocco. Così l'Unione europea va in frantumi.

Cosa dovrebbe fare dunque l'Ue per aiutare l'Italia?

La sospensione del patto di stabilità può essere utile solo se contemporaneamente la Banca centrale europea inizia a comprare i titoli di Stato italiano a tasso zero. In questo modo noi aumenteremmo il nostro debito pubblico, ma con la garanzia di un compratore e senza pagare tassi d'interesse. Per come è congegnato oggi, invece, il meccanismo della sospensione del patto di stabilità porterà a un aumento del nostro debito pubblico e questo cappio alla fine ci strozzerà. So che le mie proposte richiedono una modifica dei trattati, ma se non c’è la volontà politica di rivedere i trattati in queste situazioni, allora non ci sarà mai.

Ci sono alternative?

Certo che ci sono. L'Ue dovrebbe darci aiuti diretti, invece lascia che ogni Paese se la cavi da solo, al massimo sospende il patto di stabilità. È come se dopo l'uragano Katrina del 2005, George Bush avesse detto ai cittadini della Louisiana: vi permetto di indebitarvi di più per trovare i soldi necessari alla ricostruzione. La Louisiana avrebbe minacciato di staccarsi dal resto degli Usa. Bush invece mise un sacco di soldi federali a disposizione della Louisiana. Questa tragedia del coronavirus è peggio di Katrina, e avviene in un'Italia che già soffre molto, quindi servono aiuti diretti dell'Ue.

Il governo italiano sta spingendo affinché a Bruxelles si trovi un accordo per l'emissione degli eurobond, e per raggiungere l'obiettivo il premier Conte ha chiesto l'intervento del Mes, il cosiddetto fondo salva-stati. Gli eurobond sarebbero una svolta, perché per la prima volta si creerebbe un debito pubblico europeo. Secondo Lei questa è la strada giusta?

Dipende da cosa intendiamo per eurobond. Se i soldi raccolti attraverso gli eurobond dovranno essere usati solo per l'emergenza sanitaria, io penso che sia solo un palliativo. Se invece sono l'inizio di un vero bilancio comune europeo, allora la strada è giusta. Il fatto è che il coronavirus sta mostrando quello che manca davvero all'Europa: una protezione civile comune, una politica di immigrazione comune, una difesa comune e quindi un bilancio comune abbastanza consistente da poter finanziare tutto questo. Jean Monet diceva che l'Ue si fa durante le crisi. O adesso troviamo la volontà di cambiare le cose, di creare un meccanismo di solidarietà europea, oppure si arriverà ad una disgregazione, perché i cittadini avranno la prova che l'Ue non serve quando ce n'è davvero bisogno.

Rafforzare il bilancio comune significa che ogni Stato dovrà mettere più soldi dei propri contribuenti nella cassa comune europea. Tutto questo è da sempre visto come fumo negli occhi soprattutto dalla Germania, spaventata di dover poi pagare con il proprio denaro le spese degli italiani. Perché i tedeschi ora dovrebbero cambiare idea?

Capisco che la Germania non voglia sussidiare continuamente l'Italia, ma non possono nemmeno ignorare quello che sta succedendo. Gli aiuti europei dovevano partire tre settimane fa, e invece siamo ancora qui a discuterne mentre la gente muore. Il bilancio comune serve se si vuole salvare l'Europa. La crisi del debito del 2008-2009 ha portato consensi agli anti-europeisti, ai cosiddetti sovranisti. Se anche stavolta l'Ue lascerà che ogni Paese risolva i problemi per conto suo, queste spinte centrifughe aumenteranno e alla fine avranno la meglio. Per quanto riguarda la Germania, va sempre ricordato che la redistribuzione delle risorse nell'Ue avviene già, ma al contrario di come dovrebbe essere, cioè dai Paesi più poveri a quelli più ricchi. Quando c'è una crisi finanziaria, infatti, gli investitori corrono verso i titoli di Stato tedeschi: la Germania ne beneficia pagando tassi di interesse negativi. Questo non è altro che un trasferimento di risorse italiane, spagnole o greche verso Berlino. Ora è tempo di invertire la marcia e aiutare chi è in difficoltà, altrimenti l'Europa muore.

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