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Claudio Pinti, “l’untore” di Hiv di Ancona ai domiciliari, la vittima: “Me lo ritroverò in ospedale”

“Tutto questo non è normale, lo trovo inconcepibile e inaccettabile. È quella persona che mi ha fatto tanto male e mi ha distrutto la vita” ha dichiarato Romina Scaloni dopo aver appreso della scarcerazione di Claudio Pinti, “l’untore” di Hiv di Ancona e suo ex fidanzato che, pur sapendo di essere sieropositivo, la contagiò così come fece con altre donne tra cui la sua ex campagna, poi deceduta per le conseguenze della malattia.
A cura di Antonio Palma
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“Mi sento tradita dalla legge. Forse i giudici non hanno pensato che lo hanno autorizzato ad andare da solo e liberamente all'ospedale per curarsi, lo stesso ospedale dove vado io a curarmi, grazie a lui che mi ha trasmesso l'Hiv", è lo sfogo di Romina Scaloni dopo aver appreso della scarcerazione di Claudio Pinti, “l’untore” di Hiv di Ancona e suo ex che, pur sapendo di essere sieropositivo, la contagiò così come fece con altre donne tra cui la sua ex campagna, poi deceduta per le conseguenze della malattia. All’uomo, condannato in secondo grado a 16 anni e 8 mesi in abbreviato per omicidio volontario e lesioni gravissime, i giudici hanno concesso i domiciliari per il grave stato di salute e potrà curarsi quindi in ospedale.

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Una decisione presa per motivi di salute ma che rischia di creare un paradosso perché per le cure potrebbe andare all’ospedale «Torrette» di Ancona dove è in cura proprio Romina Scaloni, l’ex compagna che lo denunciò dopo aver scoperto la sieropositività, dando il via all’indagine. Da qui lo sfogo lanciato dalla donna attraverso un video sui social. “Tutto questo non è normale, lo trovo inconcepibile e inaccettabile. È quella persona che mi ha fatto tanto male e mi ha distrutto la vita, la stessa persona che ha ucciso una donna di 32 anni, madre della loro figlia, la stessa persona che ha devastato e rovinato la vita di quella bimba” ha dichiarato la donna riferendosi alle motivazioni che hanno spinto i giudici a disporre i domiciliari con braccialetto elettronico.

Claudio Pinti ha già lasciato il carcere di Rebibbia, a Roma, per trascorrere i domiciliari a casa dei genitori a Montecarotto, in provincia di Ancona. Qui dovrebbe attendere fino al processo per l’ultimo grado di giudizio, la cassazione, la cui prima udienza è fissata per il prossimo 10 settembre. Sulla decisione dei domiciliari presa della Corte di Assise di Appello, però, pende il ricorso presentato dalla Procura generale di Ancona al Tribunale del riesame. "Non riteniamo incompatibile la permanenza a Rebibbia, può essere curato dal carcere" spiegano dalla Procura marchigiana la cui istanza, se approvata potrebbe far tornare in cella Pinti.  "Sorprende che le lamentele sono state da su una misura cautelare che non riguarda lei ma un altro processo, quello dell’accusa di omicidio volontario per la ex compagna Gorini. Tutta altra storia. La pena per Romina è stata totalmente espiata da Pinti, due anni. Vorremmo affrontare un giudizio in Cassazione con serenità" ha dichiarato l’avvocato di Pinti.

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