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Chi sono i fratelli Ramponi, i tre occupanti del casolare esploso a Verona: strage minacciata anche un anno fa

Tre fratelli, Franco, Dino e Maria Luisa Ramponi, agricoltori in difficoltà economiche, si sono barricati nel loro casolare di Castel d’Azzano saturandolo di gas. L’esplosione, avvenuta durante lo sgombero, ha ucciso tre carabinieri dei reparti speciali API e SOS.
A cura di Davide Falcioni
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Tre fratelli – Franco, Dino e Maria Luisa Ramponi – agricoltori e allevatori di Castel d’Azzano, sono al centro della tragedia che nella notte ha devastato un casolare in via San Martino provocando la morte di tre carabinieri e il ferimento di una quindicina di persone tra militari e agenti di polizia. L’abitazione, occupata abusivamente e già oggetto di precedenti tentativi di sgombero, è stata distrutta da una violenta esplosione innescata, a quanto pare, all’apertura della porta d’ingresso da parte delle forze dell’ordine. I tre sono stati arrestati.

I Ramponi, sulla sessantina, erano noti in paese per una lunga serie di difficoltà economiche e ipoteche. In passato avevano già minacciato gesti estremi: due episodi analoghi, con la casa saturata di gas, si erano verificati nell’ottobre e nel novembre del 2024, quando si erano opposti all’arrivo dell’ufficiale giudiziario aprendo bombole di metano. In una di quelle occasioni, Franco e Maria Luisa erano saliti sul tetto, e solo una lunga mediazione aveva evitato il peggio.

I tre, in particolare, sostenevano di essere stati "ingannati" e che la sentenza del Tribunale che li sfrattava dal casolare era sbagliata. La vicenda nasce da un mutuo che avrebbero sottoscritto nel 2014, con l'ipoteca di campi e casa. I tre avevano però sempre sostenuto di non aver mai firmato i documenti per il prestito, e che anzi le firme erano state contraffatte. L'iter giudiziario era però arrivato fino alla decisione di esecuzione dell'esproprio.

Il vicesindaco di Castel d’Azzano, Antonello Panuccio, ha spiegato a Rainews24 che anche la scorsa notte, quella più drammatica, "gli occupanti non volevano lasciare la casa" e che "il sottotetto era saturo di gas" al momento dell’intervento delle forze dell'ordine, pianificato da giorni.  Secondo Panuccio, i Ramponi "non erano soggetti fragili" bensì persone in età lavorativa "coinvolte in fatti criminosi e sottoposte a un’esecuzione forzata di recupero del credito". Il Comune, ha precisato, "era pronto a offrire una sistemazione temporanea, ma c’era un ordine del giudice da rispettare".

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A perdere la vita sono stati tre militari appartenenti a reparti d’élite dell’Arma: il Luogotenente Marco Piffari, 56 anni, comandante della Squadra Operativa di Supporto (SOS) del 4° Battaglione “Veneto”; il Brigadiere Capo Valerio Daprà, 56 anni, e il Carabiniere Scelto Davide Bernardello, 36 anni, entrambi operatori dell’Aliquota di Primo Intervento (API) del Nucleo Operativo Radiomobile di Padova.

Erano uomini esperti, addestrati a gestire situazioni ad altissimo rischio. Piffari, figura di riferimento della SOS, aveva alle spalle una carriera lunga e impeccabile nei reparti mobili. Daprà e Bernardello facevano parte delle API, unità speciali dell’Arma capaci di affrontare emergenze come attacchi armati, sequestri o minacce esplosive.

Le API (Aliquote di Primo Intervento) e le SOS (Squadre Operative di Supporto) sono reparti antiterrorismo nati per garantire una risposta immediata sul territorio nazionale. Istituite dopo gli attentati in Europa e la strage di Nizza, queste unità sono state ufficializzate dal Comandante Generale Tullio Del Sette e dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano come parte della strategia italiana di contrasto alle nuove forme di minaccia.

Le API, integrate nei Nuclei Radiomobile dei Comandi Provinciali, sono composte da 9 a 14 militari selezionati e formati per intervenire in contesti urbani complessi, anche prima dell’arrivo del GIS (Gruppo di Intervento Speciale). Le SOS, invece, dipendono dai Battaglioni Mobili dell’Arma e possono contare su un organico più ampio, da 12 a 24 uomini, operando spesso a supporto di altri reparti.

Entrambe le unità si addestrano a San Pietro a Grado, presso la 2ª Brigata Mobile, dove seguono corsi intensivi di combattimento ravvicinato, pronto soccorso operativo, tecniche di tiro dinamico, gestione di esplosivi e procedure di liberazione ostaggi. Dotate di veicoli blindati e armamenti avanzati, le API e le SOS rappresentano lo “scudo” di prima risposta dell’Arma in caso di emergenze terroristiche o azioni ad alto rischio, come quella della scorsa notte di Castel d’Azzano.

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