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Caso Yara, cosa ha detto il procuratore sulla presunta frode processuale e depistaggio delle indagini

Le parole di Antonio Chiappani, a capo della Procura di Bergamo, sul caso della pm Letizia Ruggeri indagata: “Le provette contestate non cambierebbero niente, le sentenze sono chiare. Nulla da nascondere”.
A cura di Biagio Chiariello
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Sarebbero ancora in attesa di essere assegnati al pm gli atti sulla presunta frode processuale e depistaggio delle indagini su Yara Gambirasio, dopo che il gip di Venezia Alberto Scaramuzza ha disposto l'iscrizione nel Registro degli indagati del pm del caso, Letizia Ruggeri, a conclusione dell'udienza di opposizione all'archiviazione presentata dai legali di Massimo Bossetti dei presidente della Corte d'assise di Bergamo e di una cancelliera.

Il tema su cui il gip chiede una nuova tranche di verifiche è legato alla conservazione di 54 reperti con tracce di Dna che, di fatto, hanno rappresentato l’architrave dell’impianto accusatorio a carico di Bossetti.

Sulla vicenda, Ruggeri non si è espressa; per lei interviene il procuratore di Bergamo Antonio Chiappani. Non sulla decisione del gip, più in generale sul caso Bossetti e Dna:

Non riesco a capire che incidenza possano avere le 54 provette di materiale biologico residuo ma già ampiamente analizzato e consumato, a fronte di tre sentenze che hanno confermato la colpevolezza di Bossetti. E, in particolare, con le analisi del Ris di Parma avvalorate dai consulenti, utilizzando anche kit diversi, che hanno comprovato la presenza fino a 28 marcatori del Dna di Ignoto 1 sugli indumenti intimi di Yara. Ventotto quando, nel 2012, ne bastavano 21″ ha detto al Corriere della Sera

Ignoto 1 venne ribattezzato Bossetti dopo tre anni e mezzo di indagini. "La comparazione dei due Dna non è stata messa in discussione", aggiunge il procuratore.

Su quei 54 campioni gli avvocati Salvagni e Camporini avrebbero indicato (presunte) responsabilità della Ruggeri sull’interruzione della catena del freddo nella custodia del Dna residuo. "Queste provette sono state crio conservate nei laboratori del San Raffaele dal 28 febbraio 2013 al 21 novembre 2019 — ripercorre Chiappani —, quando sono state trasferite in applicazione del quarto comma dell’articolo 262 del codice di procedura penale". E cioè: dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, salvo che sia disposta la confisca.

In tal senso il pm Ruggeri aveva chiesto al tribunale di depositare reperti e Dna già a marzo 2019, poi la confisca il 2 dicembre, quando i carabinieri consegnano i campioni ritirati pochi giorni prima; il giudice la dispone il 15 gennaio 2020. "Mi chiedo quale norma imponga il mantenimento dei reperti di indagine all’infinito, dopo il passaggio in giudicato di una sentenza", dice Chiappani.

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