830 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Calabria: l’8 marzo nel segno delle donne antimafia

La Festa della Donna in nome delle donne che combattono la ‘ndrangheta. E’ l’iniziativa del direttore de ‘Il quotidiano della Calabria’, che ricorda il fatale destino di Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce, bersaglio delle loro famiglie mafiose.
A cura di Carmine Della Pia
830 CONDIVISIONI
La collaboratrice di giustizia Lea Garofalo

Il direttore de ‘Il quotidiano della Calabria', Matteo Cosenza, ha lanciato la campagna "Tre foto e una mimosa", in vista del prossimo 8 marzo, Festa della Donna. L'idea è quella di festeggiare in nome di tre donne antimafia, Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce. Le prime due hanno lottato contro le rispettive famiglie e i loro affari di malavita pagando con la morte. Giuseppina, invece, è salva per un soffio, ed ora è testimone contro la famiglia Pesce-Bellocco al processo ‘All Inside'. Le tre donne sono accomunate da un destino fatale, storie di ‘ndrangheta a cui si opponevano fermamente. Lea è stata ammazzata e sciolta in 50 litri di acido, mentre Maria Concetta si è suicidata. "Nascono in ambienti tristi, vivono infelici anche perché la morte dispensata senza pietà è un boomerang sempre in movimento, ed hanno un futuro amarissimo", afferma il direttore Cosenza sulle donne antimafia, "ecco perché dobbiamo inchinarci davanti a Giuseppina, Maria Concetta e Lea. Nonostante tutto, sono riuscite a capire che vivevano nel male e hanno trovato il coraggio di dire: basta, non deve andare così, noi e i nostri figli dobbiamo vivere in pace e non in una guerra perenne".

L'otto marzo in ricordo delle donne che combattono la mafia, perché non ricordare il sacrificio sarebbe come uccidere nuovamente le vittime: "Hanno pagato un prezzo altissimo, ma lo pagheranno ancora di più se saranno dimenticate e il loro esempio non diventerà un patrimonio collettivo che rigenera in bene e felicità le azioni della gente di questa terra", ha proseguito il direttore de ‘Il quotidiano della Calabria'. Le pentite di mafia sono una dannazione per i clan, perché conoscono tutto delle attività illecite di padri, mariti e familiari, per cui, una volta collaboratrici, il gruppo mafioso si pone come unico obiettivo la morte della dissidente. Una fine tragica e violenta, compiuta dal padre o dal marito della pentita, però, perché, diversamente, le donne non si toccano, nell'ambiente mafioso. In questo modo morì un'altra donna, Annunziata Pesce: quando venne a galla il tradimento con un carabiniere, fu addirittura il fratello della sventurata a farla inginocchiare in aperta campagna e spararle un colpo in testa.

830 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views