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Alì, sospeso per quattro anni dal calcio, e il suo appello alla giustizia sportiva: “Ascoltatemi”

Una presunta testata ha messo una pietra, per i prossimi quattro anni, sulla carriera calcistica del giovane Alì Arbaoui, giocatore dell’Asd Città di Sant’Angelo. La sua storia ha fatto il giro della provincia di Messina.
A cura di Luisa Santangelo
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Nell'ambiente del calcio dilettantistico della provincia di Messina, la storia di Alì Arbaoui la conoscono ormai tutti. È il 17enne squalificato dal calcio giocato fino al 13 marzo 2028. Quattro anni di sospensione dalle gare per avere dato una testata in faccia al direttore di gara che arbitrava la partita tra la sua squadra, l'Asd Città di Sant'Angelo e il Mirto. Una ricostruzione che lui, però, non è il solo a respingere.

Alì ha 17 anni. Sedici anni fa è arrivato in Italia dal Marocco, raggiungendo il padre che da tempo viveva in Sicilia. A Sant'Angelo di Brolo, un paesino di poche migliaia di anime (circa 2500 abitanti) sui Nebrodi, nel Messinese. Per descrivere la sua vita non usa molte parole: "La scuola, casa, gli allenamenti di calcio". Così da quando aveva quattro anni. Un anno fa, ha lasciato l'altra società calcistica in cui militava (e che giocava qualche categoria più su) per entrare nell'Asd Città di Sant'Angelo. Una società sportiva che i suoi dirigenti descrivono come "un progetto sociale, prima che sportivo".

Lo sport contro lo spopolamento

Un'idea di aggregazione in un territorio che soffre lo spopolamento e che tenta di dare ai ragazzi e alle ragazze del paese più possibilità. Nel campo sportivo comunale del paese, con un prato di erba sintetica nuovissimo e gli striscioni con le attività commerciali della zona come sponsor, ci sono decine di bambini. E sugli spalti, quando si giocano le partite di campionato, gli spettatori sono centinaia. "Noi ci teniamo a essere un esempio positivo", dice Adriana Decembrino, dirigente sportiva dell'Asd.

Per questo dal 9 marzo 2024 non riescono a farsi una ragione di essere sulla bocca di tutti non tanto per le loro attività quanto per un episodio di violenza arbitrale che, nella zona, ha fatto scalpore. E che coinvolge uno dei giocatori a cui più sono affezionati: il 17enne a cui hanno dato da subito la maglia da titolare e che definiscono "educatissimo".

Quel sabato di marzo il Città di Sant'Angelo sfidava, in casa, il Mirto. La squadra di un altro paese sempre sui Nebrodi, sempre rappresentante di un Comune minuscolo: neanche mille abitanti, nel censimento 2022. Una partita "importante", dicono padroni di casa e avversari. La vittoria avrebbe decretato l'accesso ai playoff per una delle due squadre e, quindi, la possibilità di una promozione dalla terza alla seconda categoria.

Il momento dello scontro

Al 63esimo minuto di gioco, l'arbitro fischia un rigore per il Mirto, che stava già vincendo per uno a zero. A quel punto il direttore di gara, secondo quanto riportato nella decisione del giudice sportivo con cui si arriva alla squalifica di Alì per quattro anni, avrebbe visto "il calciatore Alì Arbaoui correre verso di lui con l'intenzione di aggredirlo. Lo stesso direttore di gara cercava di scansarsi ma veniva raggiunto ugualmente dal calciatore che lo colpiva violentemente sul petto e, con la testa, sullo zigomo destro".

Una testata così forte da causare all'arbitro difficoltà respiratorie tali da spingerlo a decretare, "dopo alcuni secondi, col triplice fischio l'interruzione della gara". Tutti negli spogliatoi, partita finita, vittoria a tavolino per il Mirto per tre a zero. E fine del sogno playoff per Alì e il Città di Sant'Angelo. Poche ore dopo, l'arbitro racconta di un continuo dolore al volto. Va in ospedale, a Sant'Agata di Militello, e lì gli diagnosticano un "trauma all'arcata zigomatica destra" e una "cervicalgia" guaribili con tre giorni di prognosi.

Per la giustizia sportiva di primo e secondo grado, "la condotta tenuta dal calciatore Alì Arbaoui è da considerarsi violenta e intenzionalmente diretta a produrre una lesione personale con volontaria aggressività, nei confronti dell'ufficiale di gara". La sanzione minima, in casi del genere, è di quattro anni di squalifica. E questi vengono comminati al giovane calciatore santangiolese.

La difesa del calciatore

A non starci, però, non è soltanto lo sportivo sospeso. Né solo la società sportiva nella quale gioca. A difendere Alì c'è anche l'allenatore della squadra rivale, il Mirto, che era a bordo campo e la scena l'ha vista bene: "Non c'era nessun intento violento – racconta Emanuele Frisenda a Fanpage.it – Il ragazzo, che io non conosco, stava andando a protestare, forse anche in modo veemente, per il calcio di rigore che ci era stato appena concesso. L'arbitro era di spalle, non l'ha visto arrivare, forse però ha sentito il rumore della corsa, si è voltato e hanno sbattuto l'uno contro l'altro".

Uno scontro fortuito, insomma, non una testata in viso data con l'intento di ferire. La dichiarazione di Frisenda, così come quella dei dirigenti dell'Asd Città di Sant'Angelo e un video di pochi secondi che riprende l'azione di gioco e, solo lateralmente, anche il momento dello scontro tra giocatore e arbitro, vengono tutti prodotti dalla squadra nel tentativo di difendere Alì. Ma nella giustizia sportiva l'unica cosa che fa fede è il referto dell'arbitro. Altre valutazioni non sono ammesse.

Per ottenere che qualcosa cambi, sarebbe necessario rivolgersi alla giustizia ordinaria. Con spese che il padre di Alì, che ha anche altri figli e fa il commerciante, non è in grado di sostenere. "Nessuno ha ascoltato la mia versione – spiega il giovane a questa testata – Non mi hanno sentito, non hanno visto i video, non mi hanno dato la possibilità di spiegare. È vero, stavo correndo per protestare, ma non volevo colpire l'arbitro. Ho chiesto subito scusa, ho sbagliato, tutti possono sbagliare, no?".

Quella testata lui è sicuro di non averla data. Così come è sicuro di non avere avuto alcuna intenzione di aggredire il direttore di gara, che ha appena un anno più di lui. "Io capisco che possa avere avuto paura, perché comunque noi giocavamo in casa, era una partita importante, c'erano duecento spettatori. Anche io avrei provato la stessa cosa, al posto suo – prosegue Alì – Ma vediamoci e parliamone, chiariamoci di persona. Io per tornare in campo farei qualunque cosa".

"In Marocco? Sono straniero"

In realtà, quasi. Per esempio, non tornerebbe in Marocco. Dove pure due società sportive si sarebbero dette interessate ad accoglierlo in squadra e a farlo giocare da titolare nel loro campionato. "È stato mio nonno a parlare di me e a raccontare quello che mi stava succedendo – dice – Così queste società hanno visto dei miei video e mi hanno chiamato. Ma io non parlo l'arabo, sono in Italia da quando avevo un anno, lì non conosco nessuno, mi sentirei uno straniero". E suo padre rincara la dose: "Alì deve finire la scuola qui".

La speranza di Alì, della sua famiglia, della squadra in cui gioca e di quella avversaria, è che si possa fare qualcosa affinché qualcuno riesamini il caso. E dia ad Alì una squalifica proporzionata a uno scontro definito "involontario". "Io al posto suo mi sarei sentito vittima di una grossa ingiustizia", afferma ancora l'allenatore del Mirto. Mentre annuncia i provvedimenti che lui e altri colleghi allenatori sperano di riuscire a prendere affinché casi come questo non si verifichino più: "Faremo in modo di avere sempre delle riprese ogni settimana, in modo che ci siano video di tutte le partite per intero".

Poi, certo, bisognerebbe che le eventuali immagini possano essere prese in considerazione. "Speriamo che la Federazione capisca che, anche nelle categorie inferiori, bisogna dare alle società adeguati strumenti per difendersi – conclude Adriana Decembrino dell'Asd Città di Sant'Angelo – Che almeno da questa brutta storia si riesca a trarre qualcosa di buono".

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