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A 6 anni legato e ridotto in fin di vita dal patrigno, dalla fiaba in ospedale emerge l’orrore

Una storia terribile quella che emerge dalle motivazioni della sentenza del Gup di Torino che ha portato alla condanna del patrigno 26enne a 10 anni di carcere per tentato omicidio del bimbo.
A cura di Antonio Palma
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“Una personalità violenta e autoritaria” che “ha martoriato il corpo del piccolo” a calci e pugni, terrorizzando il minore e la madre fino a convincere entrambi a non denunciare le terribili violenze subite che hanno portato quasi alla morte del piccolo. Così il Gup di Torino ha descritto e ricostruito la lunga sequenza di  sopraffazioni subite da un bambino piemontese di soli 6 anni per mano del compagno della madre, condannato in primo grado a dieci anni di carcere per tentato omicidio.

Una storia terribile quella che emerge dalle motivazioni della sentenza che lo scorso maggio ha portato alla condanna del patrigno 26enne. Una storia emersa solo grazie alle insistenze dell’ospedale Regina Margherita e di una psicologa che ha cercato di far raccontare al minore cosa gli fosse successo. Dalla lettura di una fiaba infatti è emerso “un’importante deprivazione psicofisica, con indicatori di disagio e maltrattamento” che hanno avviato gli investigatori verso la pista delle violenze domestiche.

Per lungo tempo, infatti, il piccolo, terrorizzato, aveva negato tutto. “Sono caduto dalle scale” aveva ripetuto a tutti nonostante il corpo pieno di lividi e l’intestino spappolato che ha richiesto una operazione chirurgica d’urgenza. “Solo l’improvvisa presa di coscienza della madre e soprattutto l’intervento chirurgico hanno evitato la morte” ha ricordato il giudice per le udienze preliminari, che ha accolto la richiesta di una pena più severa avanzata dal pm e rigettato invece l’istanza della difesa che voleva derubricare il reato a semplici lesioni.

Quanto ricostruito dall’accusa in realtà è un crescendo di violenze perpetrate contro il minore tra le mura domestiche con la volontà di fare del male, come emerso dallo stesso racconto del ragazzino durante le indagini a carico del patrigno. “Quando ero piccolo mi picchiava in camera da letto, a cena, quando facevo il cattivo, mi faceva male alla pancia, sempre con i pugni e con i calci” è il terribile racconto del minore agli inquirenti.

“Ha martoriato il corpo del piccolo. E dopo avergli legato le mani dietro la schiena lo ha investito con altri colpi”, scrive il giudice, sottolineando un comportamento andato avanti fino a sfiorare l’assassinio del bambino. Non solo, di fronte alle lesioni della vittima, il 26enne minimizzava evitando persino di portarlo in ospedale. “Il bimbo stava male e vomitava, credevo lo facesse per dispetto. L’ho colpito diverse volte, non mi sono reso conto di aver esagerato” ha raccontato l’uomo anche dopo l’arresto.

Con minacce e promesse il 26enne aveva ottenuto il silenzio della piccola vittima e della madre. “Se dici tutto ti portano via e non vedrai mai più né mamma né nonna, ti portano in un posto lontano” diceva al piccolo, alternando le minacce con la promessa di videogiochi. Azioni che avevano ottenuto il loro effetto visto che con la psicologa il piccolo all’inizio ha negato tutto. Il comportamento del minore però fin da subito ha lasciato trasparire una sofferenza evidente. Un bimbo “annichilito, molto spaventato che chiede sempre scusa” e che “nonostante il dolore e il pianto, non si lamenta e non tenta di allontanare da sé stimoli che gli creano dolore o frustrazione” lo ha descritto la psicologa dell’ospedale.

La verità dietro questa sofferenza del bimbo è emersa infine qualche giorno dopo dalle intercettazioni ambientali catturate nello stesso ospedale nel gennaio dello scorso anno. Solo con l’arresto dell’uomo però  il comportamento della madre muta “disvelando l’effettiva gravità dei maltrattamenti e delle violenze cui erano sottoposti lei e il figlio” e che infine ha spinto il piccolo a raccontare tutto.

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