A 29 anni dall’omicidio di Nada Cella si cerca la verità, la cugina: “Forte e ironica, sapeva ciò che voleva”

Il 6 maggio 1996 Nada Cella, 25 anni, venne trovata morta nell'ufficio di commercialisti dove lavorava, in via Marsala, a Chiavari. Per tanti anni il caso era rimasto irrisolto ma nel 2021, grazie a una tesi di laurea, le indagini sono state riaperte. E pochi mesi fa, il 6 febbraio, è iniziato il processo.
Il rinvio a giudizio è stato chiesto per Annalucia Cecere, che avrebbe ucciso la ragazza "per motivi di rancore e gelosia", come ha scritto la pubblico ministero Gabriella Dotto.
Ma anche per il commercialista per cui lavorava Nada Cella, Marco Soracco, e l'anziana madre dell'uomo, Marisa Bacchioni, accusati di false dichiarazioni agli inquirenti. La donna, 93 anni, è uscita dal procedimento poiché ritenuta incapace di intendere e di volere.

Fanpage.it ha intervistato tre donne vicine a Nada, ognuna per motivi diversi: Silvia Cella, cugina della ragazza; Antonella Delfino Pesce, la criminologa che ha contribuito alla riapertura del caso; e l'avvocata Sabrina Franzone che in tribunale difende la famiglia della vittima.
"Di Nada ricordo le risate, l'ironia, era davvero forte. Rideva con quella bocca aperta, era simpatica. Ci siamo frequentate poco, anche se non avevamo tanti anni di differenza", la ricorda Silvia Cella.
"Veniva qualche volta da me a cena, con la zia abitiamo vicine, era facile che venisse a trovarmi. Una volta mi portò un bel mazzo di tulipani, a lei piacevano molto. Era una ragazza in gamba, sapeva quello che voleva".
La cugina di Nada ripercorre i tanti anni trascorsi tra la morte della cugina e la notizia dell'apertura del processo. "Avevamo perso tutte le speranze a marzo dell'anno scorso (quando la giudice Anna Maria Nutini aveva prosciolto i tre imputati, ndr)", racconta ancora.
"Sapevo che ci credevano in tanti, chi ha lavorato al caso, per cui a un certo punto, nei giorni appena prima del 20 novembre. ho iniziato a pensare: ‘Se ci credono loro, perché no?‘". Il 20 novembre 2024 i giudici della Corte d'Appello di Genova hanno ribaltato la prima sentenza e disposto il processo.
"È tanto essere arrivati qua, ora andiamo avanti. – aggiunge Silvia Cella – È stato bello ma anche tremendo perché è rinnovare il dolore, la mancanza, la morte. Come lo sarà anche domani e tutti i 6 di maggio".
"I primi anni portavo sempre un mazzo di fiori in via Marsala, ma a un certo punto avevo smesso. Mi sembrava che Nada fosse stata dimenticata, poi è arrivata quell'angelo di Antonella (Delfino Pesce, ndr). E da lì ho ritrovato le speranze. L'anno scorso ho rimesso il mazzo di fiori e lo farò di nuovo domani mattina (oggi, 6 maggio, ndr)".
C'è anche un'altra donna che in questi lunghi anni si è battuta per ottenere giustizia, Silvana Smaniotto, la mamma di Nada. "Non ho idea di come abbia fatto. Io ho un figlio, oggi ha 28 anni, e se mi mancasse lo seguirei o impazzirei", dice la nipote.

"Lei ha una grande forza e una dignità nel portare questo dolore, non l'ha mai fatto pesare. Forse è andata avanti nella speranza di darle giustizia, forse se avesse desistito sarebbe stato un po' come abbandonarla. Potrebbe essere questo", aggiunge.
Un processo che per la signora Silvana "rappresenta tantissimo", spiega Antonella Delfino Pesce. Il suo contributo, come già detto, è stato fondamentale per la riapertura del caso: proprio grazie ad alcuni spunti inediti raccolti in una sua tesi di laurea gli inquirenti hanno ricominciato a indagare sulla morte della 25enne.
"Silvana mi ha sempre detto: ‘Vada come vada, adesso so la verità‘. La cosa brutta è che ora non sta bene e non è nelle condizioni di seguire il processo, non riesce ad andare a Genova e questo mi fa male", racconta.
"D'altro canto però il processo rappresenta la ferrea volontà di fare tutto il possibile per dare giustizia a Nada. Tutti noi, che in momenti diversi abbiamo partecipato a questa indagine, io, l'avvocata Franzone, la Procura, la Squadra mobile, tutti abbiamo fatto quello che era umanamente possibile per arrivare dove siamo oggi".

In questi lunghi anni di indagini ci sono state delle oggettive difficoltà date dal tempo ma anche dalla reticenza di molte persone coinvolte. "Alcuni testimoni sono morti, – spiega ancora Delfino Pesce – ma altri che sapevano e sanno non si sono mai resi disponibili, non hanno mai voluto dire nulla. C'è stata molta omertà, l'hanno testimoniato anche gli inquirenti".
Tuttavia, nonostante questo, il processo è iniziato. "Ogni giorno c'è un piccolo pezzo che si aggiunge, questo processo è un puzzle", ci racconta l'avvocata Sabrina Franzone. "È un processo indiziario, lo abbiamo sempre detto. Gli indizi sono tantissimi, introdotti dai testimoni, ma anche dalle intercettazioni telefoniche".
"In ogni udienza si aggiunge un pezzo, dal nostro punto di vista. Se poi l'insieme dei pezzi giustifichi una sentenza, è presto per dirlo. L'8 maggio ci sarà l'udienza con la dottoressa Delfino Pesce e sarà un momento importante. Verrà fatta sentire per la prima volta anche la voce dell'imputata, che finora si è sottratta al confronto".
Come ci spiega l'avvocata, in aula saranno fatti ascoltare i messaggi che Cecere inviò alla criminologa, dai toni violenti e minacciosi, quando Delfino Pesce riuscì a far riaprire le indagini.
"L'udienza scorsa è stata invece dedicata al racconto della personalità di questa donna fatto da chi la conosceva all'epoca. Uno dei suoi ex fidanzati ci ha raccontato una cosa importante sui famosi bottoni: lei decise di tenerli, nonostante lui avesse portato via la giacca che gli apparteneva", spiega la legale.
Sotto al corpo di Nada venne trovato proprio un bottone che, dopo tanti anni, fu ritenuto compatibile con quelli trovati in casa dell'imputata. "Nessuno aveva mai parlato di quei bottoni, prima della data della perquisizione. Oggi abbiamo la certezza del fatto che la notizia del ritrovamento non venne mai pubblicata prima", aggiunge Franzone.
Importanti anche le dichiarazioni del fratello di Cecere, rilasciate ai giornalisti al termine dell'udienza: “Mia sorella può avere ucciso. Se viene contraddetta diventa cattiva. Se Nada quel giorno le ha risposto male potrebbe averla colpita”, ha detto l'uomo. "Il suo racconto ci ha lasciato senza parole", aggiunge l'avvocata della famiglia di Nada.
Al momento sono state fissate udienze fino al 17 luglio. "Bisognerà vedere quanto tempo ancora servirà per sentire tutti i testimoni, vedremo", conclude Franzone. Se per anni si è creduto che quello di Nada Cella sarebbe rimasto un caso irrisolto, oggi la famiglia può continuare a sperare di raggiungere un giorno la verità.