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L’eurodeputata Corrado (Pd) a Fanpage.it: “La destra sta smontando il Green Deal pezzo per pezzo”

L’europarlamentare Annalisa Corrado (Pd) denuncia il progressivo smantellamento del Green Deal europeo sotto la spinta delle destre e avverte: “Stiamo mettendo a rischio il futuro del continente e la nostra autonomia strategica”.
A cura di Francesca Moriero
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Negli ultimi mesi, l’Unione Europea ha iniziato a frenare su diverse misure chiave del Green Deal, il grande piano climatico che avrebbe dovuto guidare la transizione ecologica del continente. Alcune direttive sono state rinviate, altre addirittura ritirate. La svolta ha provocato forti reazioni da parte di ambientalisti, eurodeputati progressisti e organizzazioni della società civile, che denunciano una pericolosa resa alle pressioni delle destre e un arretramento rispetto agli impegni climatici assunti. Fanpage.it ne ha parlato con Annalisa Corrado, europarlamentare del Partito Democratico e membro della Commissione Ambiente, che ha spiegato nel dettaglio cosa sta accadendo, perché è stata bloccata la direttiva anti-greenwashing e quali sono i rischi di un’Europa che mette in pausa l’ambizione verde.

Onorevole Corrado, il Green Deal europeo sta vivendo una fase di forte contrazione. Diversi provvedimenti sono stati ritirati o messi in pausa. Quali sono i principali dossier bloccati o ridimensionati e cosa c’è dietro questo rallentamento?

In realtà, al momento l’oggetto del contendere è uno, anche se particolarmente clamoroso ed eclatante. È chiaro però che si respirava già da tempo un’aria di smantellamento. Si è aperto un dibattito politico fortissimo: le destre e le estreme destre si sono fatte eleggere raccontando che il “nemico” sarebbe il Green Deal. Hanno messo in relazione il pacchetto di riforme ecologiche con la crisi e con le difficoltà quotidiane vissute da molte persone. Ora che queste forze sono cresciute in Parlamento europeo e governano in molti Paesi, devono in qualche modo “portare a casa” una vittoria simbolica: se non riescono ad affossare tutto il Green Deal, cercano almeno di colpirne un pezzo. Ci sono stati diversi tentativi di far passare la deregolamentazione sotto l’etichetta della “semplificazione”. E va detto: siamo tutti d’accordo sulla semplificazione se mantiene alta l’ambizione climatica. Ma quello che una parte del PPE e delle destre sta facendo è far passare per semplificazione ciò che in realtà è una vera e propria demolizione normativa. Non piccoli ritocchi, ma uno smontaggio sistemico.

Tra le misure finite sotto attacco c’è anche la direttiva sui “Green Claims”, pensata per tutelare i consumatori dal greenwashing. Cosa è successo concretamente?

La direttiva sui Green Claims nasce con l’obiettivo di proteggere i consumatori; partiva da un dato evidente: una quota sempre più ampia di persone considera la tutela dell’ambiente una priorità assoluta nelle scelte quotidiane. E molti sono disposti persino a spendere un po’ di più per acquistare prodotti realmente sostenibili. La norma, quindi, non impone nulla, ma stabilisce che se un’azienda vuole pubblicizzarsi come “green”, lo può fare solo se dimostra scientificamente, con metodi rigorosi, che quel prodotto o servizio è davvero a basso impatto ambientale. Insomma: non si obbliga nessuno, si impedisce solo di mentire ai cittadini. Eppure, questa norma è stata bloccata. In una versione intermedia del testo, c’era un obbligo anche per le microimprese. Era un punto critico, certo, ma tutti i relatori erano d’accordo a toglierlo. E invece, la Commissione ha usato questa scusa per ritirare del tutto la direttiva. Un atto gravissimo. Il governo Meloni si è addirittura sfilato dal Consiglio dopo aver inizialmente approvato il testo, proprio per questo. Ma la verità è che si tratta di un pretesto: quella parte si poteva tranquillamente modificare senza affossare l’intero provvedimento.

E cosa significa questo, anche sul piano istituzionale?

È uno strappo gravissimo. Un vero sgarbo al lavoro del Parlamento. La Commissione ha ritirato il testo per pressione di gruppi di destra come ECR, sostenuti da una parte del PPE, che invece fa parte della maggioranza. Il fatto è che non si tratta solo di una scelta politica: si è rotto il patto istituzionale. La Commissione è presente al trilogo. Se non si trova un accordo, la direttiva non passa: è il gioco democratico. Ma arrivare a disincardinare del tutto una direttiva già in fase di trattativa – quando era stato convocato perfino il trilogo – è una mancanza di rispetto enorme nei confronti dell’iter legislativo. Spero che la mobilitazione forte che ne è seguita serva a riportare la Commissione a più miti consigli.

Nel 2019 il Green Deal era la bandiera dell’Europa progressista. Oggi il Consiglio europeo parla molto di più di riarmo che di clima. È cambiata l’agenda politica dell’Unione?

Sì, sembra esserci uno slittamento, almeno a livello di narrazione dominante. I media mainstream spingono molto sui temi della difesa, delle armi, della guerra. Ma se guardiamo i dati, la preoccupazione per il clima è ancora altissima tra i cittadini. E con ragione: eventi climatici estremi e disastri sono ormai sotto gli occhi di tutti. C’è però un grave errore strategico: si parla di difesa come se fosse una cosa separata dalla questione climatica, mentre la nostra autonomia strategica passa proprio dalla transizione ecologica. Se restiamo dipendenti da Paesi (da cui vorremmo difenderci) per energia, risorse e produzione industriale, possiamo anche armarci fino ai denti, ma resteremo fragili. La decarbonizzazione è parte della sovranità. È anche una questione di sicurezza. E chi dice che il Green Deal ha causato la deindustrializzazione dimentica che una delle vere cause è l’altissimo costo dell’energia, che deriva proprio dal non aver investito prima nella transizione. Lo ha detto anche il rapporto Draghi, non solo attivisti come Greta Thunberg. La decarbonizzazione è la soluzione per l’Europa. Mettere da parte il Green Deal per concentrarsi solo sul riarmo è semplicemente una follia.

Dunque, in questo scenario, quale dovrebbe essere la strategia della sinistra ecologista?

Intanto: non inseguire le destre su un terreno che non ci appartiene. È un errore storico che porta solo a spostare ancora più in là l’asse politico. Dobbiamo mantenere alta l’ambizione ecologica, come era previsto negli accordi di maggioranza. Ha fatto bene Iratxe García Pérez, presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici, a ricordare a Ursula von der Leyen che non esiste nessun assegno in bianco. La maggioranza tiene perché è costruita su principi condivisi e molto chiari – e uno di questi è proprio il Green Deal.

Non è un matrimonio indissolubile. E non è un contratto a tempo indeterminato. Noi siamo il secondo gruppo del Parlamento europeo e dobbiamo far pesare questa posizione. Anche il centro dovrebbe riflettere: se cercano l’appoggio di forze come AfD, Vox o simili, dovranno poi spiegarlo ai loro elettori.

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