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Terremoto in Nepal, chi sono i quattro alpinisti italiani uccisi

I trentini Renzo Benedetti, Marco Pojer ed Oskar Piazza e la marchigiana Gigliola Mancinelli, sono stati uccisi da una valanga di neve e sassi che ha travolto la zona di Langtang.
A cura di Biagio Chiariello
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Sono oltre 5000 le vittime del terremoto che ha devastato il Nepal. Quattro di queste sono italiane, mentre non si ha notizie di almeno una quarantina di connazionali. Tre delle vittime sono originarie del Trentino: Renzo Benedetti, Marco Pojer e Oskar Piazza. Quest'ultimo faceva parte della spedizione dei quattro speleologi italiani scomparsi nei pressi del villaggio di Langtang, investito da una valanga. Di questa spedizione è morta anche Gigliola Mancinelli, di Ancona. Salvi gli altri due compagni: Giuseppe ‘Pino' Antonini, 53 anni, di Ancona, e Giovanni ‘Nanni' Pizzorni, 52 anni, genovese, esperto torrentista.

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Gigliola Mancinelli aveva chiesto e ottenuto un cambio turno a lavoro per andare in Nepal. "Ho ancora qui sul telefonino gli Sms che Gigliola mi ha mandato prima di partire: mi aveva chiesto un cambio di turno, ci teneva tanto ad andare…". Lo spiega all’Ansa il dottor Germano Rocchi, responsabile del servizio di elisoccorso delle Marche. Gigliola, medico anestesista, era anche volontaria presso la base dell'elisoccorso di Fabriano. "Era una bravissima anestesista e una carissima collega", dice. Mamma di due figli di 15 e 10 anni, era una grande appassionata di montagna e forre. "Si allenava nei fine settimana. Per questo viaggio aveva insistito tanto per poter andare".

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Oskar Piazza aveva 55 anni era uno dei membri principali del Soccorso Alpino del Trentino Alto Adige. Membro della Scuola nazionale tecnici e vicedirettore della Scuola nazionale forre, era andato in Nepal a guidare una spedizione. Sarebbe stata la sua dodicesima e ultima. “Non ricordo nessun fatto particolare che mi ha spinto a diventare un soccorritore — spiegava sul sito dell’azienda di attrezzatura alpinistica che lo sponsorizzava —: è semplicemente un bisogno che sento, analogo al desiderio di salire un Ottomila”. Con lui in Nepal sarebbe dovuta esserci anche la compagna, Luisa Zappini, responsabile della centrale unica di emergenza in Trentino, “ma mi ha bloccata un problema di famiglia. Mi sembra ancora impossibile. Adesso voglio solo andare a prendermelo", dice dopo avere avuto la notizia dai sopravvissuti.

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Marco Pojer, 53 anni, di Grumes, in Val di Cembra, era amico di Benedetti (entrambi erano membri della Società degli alpinisti tridentini) e lavorava come cuoco nella scuola materna del paese. Aveva deciso di prendersi una “vacanza straordinaria” per poter tornare in Nepal e pur di partire aveva addirittura chiesto un mese di aspettativa. Dopo il terremoto in Emilia Romagna, aveva deciso di recarsi in quelle terre per dare un mano. "Non era sposato e viveva con la mamma – racconta il sindaco, Simone Santuari – che è rimasta sola. Per martedì sera ho convocato un Consiglio comunale, poi andremo tutti da lei. Qui lo conoscevano tutti: siamo in 400. Erano 15 anni che faceva il cuoco lì e non era mai mancato un giorno".

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Renzo Benedetti, 60 anni, di Segonzano, in Val di Cembra, è morto mentre andava a portare medicine a un’anziana signora conosciuta in una delle spedizioni precedenti. Istruttore nazionale di scialpinismo e alpinismo, direttore della scuola di alpinismo della Sat di Cavalese. Aveva scalato otto vette oltre gli 8.000 metri, da Manaslu, al Makalu, Dhaulagiri, Cho Oyu, Gasherbrum II, Everest, il K2 e lo Shisha Pangma. "Ho sentito un boato dietro di me, poi ho visto una nube che scendeva spinta da un vento spaventoso. Mi sono messa a correre, ma sono stata investita da una pioggia di pietre e neve", racconta Iolanda Mattevi, la 52enne che al momento della tragedia era con Benedetti e Pojer.

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