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Nell’archivio segreto di Antonio Di Pietro: “Non sono riuscito ad arrestare il tempo che passa”

L’ex magistrato di Mani Pulite si racconta in un’intervista intima ed esclusiva a Fanpage aprendo le porte del suo casale di Montenero di Bisaccia, dove gelosamente conserva faldoni e brogliacci dell’inchiesta che, 25 anni fa, cambiò l’Italia.
A cura di Giorgio Scura
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Antonio Di Pietro è un uomo che del suo passato, che è un passato importante per la storia d'Italia e di tutti noi, non ha dimenticato niente. Chiuso nel suo casale di Montenero di Bisaccia, tra le dolci colline molisane, l'ex pm di Mani Pulite più che sfogliare l'album dei ricordi, sfoglia ancora i brogliacci di Tangentopoli, nonostante siano passati 25 anni.

"Sembra ieri che stavo arrestando Mario Chiesa, sono passati 25 anni, è vero, ma non c'è niente da festeggiare – confessa amaro in un'intervista esclusiva a Fanpage.it aprendo le porte della sua casa-museo – . Guardando le notizie di oggi sembra che non sia cambiato proprio nulla".

Ha ancora il dente avvelenato con chi l'ha tradito, soprattutto quelli interni al pool: ricorda i ragazzi della sua squadra, giovani di leva specializzati in materie informatiche e scientifiche; guarda al tempo che gli resta: "Sono ancora qui, a cercare di rimettere in ordine le carte, per completare i procedimenti che sono ancora in corso. Prima di andarmene – sospira tra decine di faldoni e centinaia di cd – vorrei mettere tutto in Rete affinché un giorno qualcuno possa leggere la verità, diversa da quella che è stata raccontata".

Ricorda Di Pietro, e racconta: "Tra i tanti ragazzi della mia squadra, vorrei citare Rocco Stragapede, un appuntato di polizia che un brutto male ha praticamente paralizzato. Lui mi scrive sms ogni giorno, una delle sue ultime battute mi ha colpito profondamente: "‘Antonio, abbiamo arrestato un sacco di gente, dovevamo arrestare il tempo che passa".

Un Di Pietro schietto e sincero, che vuole far pace con un passato che lo perseguita: soprattutto la vicenda del suicidio di Raul Gardini che poteva essere la svolta decisiva dell'indagine e che invece ha segnato la fine del pool e dell'inchiesta giudiziaria più importante della storia italiana che ha portato a 1300 condanne con il 6% di assoluzioni di merito). Nega fino allo sfinimento qualsiasi suo rapporto con servizi segreti italiani e esteri ("colpa dell'informazione, io non so parlare italiano, figuriamoci inglese"), ma accusa "apparati dello Stato che hanno usato pezzi di servizi segreti per delegittimare me stesso, l'inchiesta e i miei colleghi" invitando a leggere le relazioni del Copasir sul suo sito sulle presunte interferenze degli 007 italiani sull'inchiesta Mani Pulite.

L'amarezza, poi, quando ripensa alle dimissioni da magistrato: "Non mi sarei dimesso, l'ho fatto con la morte nel cuore. Ho dovuto farlo per difendermi dalle accuse che mi facevano". Infine, un desiderio: "Prima di andarmene vorrei tanto stringere la mano a quelli che hanno avuto a che fare con  me, anche in contrapposizione".

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