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Morte Pantani, professor Avato: “Provinciale l’approccio alle indagini”

“Ogni ricostruzione di un delitto dovrebbe partire dalla medicina legale” afferma il professor Francesco Maria Avato sul caso Pantani. La sua perizia ha contribuito all’indagine sulla morte del Pirata. “Un cold case è sempre il segno di una primitiva sconfitta”.
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Pantani è stato costretto ad assumere un enorme quantitativo di droga. È questa la conclusione principale della nuova perizia medica completata dal professor Francesco Maria Avato, incaricato dalla famiglia del Pirata e dall'avvocato De Rensis. Il suo esame, insieme ai risultati delle prime indagini di De Rensis, ha convinto Paolo Giovagnoli a riaprire il caso per omicidio.

Il profilo di Avato – Avato, coordinatore della sezione di Medicina Legale e delle Assicurazioni dell'Università di Ferrara, ha eseguito la prima autopsia sul corpo di Denis Bergamini, il “calciatore suicidato”. È il perito incaricato dalla difesa di Alberto Stasi, accusato di aver ucciso la fidanzata, Chiara Poggi, a Garlasco. Nel febbraio 2011, poi, insieme a Giuseppe Micieli della Neurologia dell’Università di Pavia e a Francesco Montorsi dell’Urologia del San Raffaele di Milano, incontra Bernardo Provenzano, per valutarne i problemi di salute che lo avevano indotto a chiedere il permesso di poter uscire dal supercarcere di Novara. Il suo esame sul corpo di Pantani si è basato sull’autopsia del professor Fortuni e sull’analisi di quasi 200 foto a colori e del video della Scientifica, ed è giunto a conclusioni diverse dal primo esame autoptico effettuato quasi 2 giorni dopo il ritrovamento del cadavere.

Divergenze – Avato accerta la presenza nel corpo di un quantitativo di cocaina sei volte superiore alla dose letale. La droga, ci spiega il professor Avato che abbiamo raggiunto telefonicamente, “era in quantità tale da lasciar intuire un'assunzione in forme diverse da quella classica. Il conteggio però è complicato, eviterei le semplificazioni”, aggiunge. “Se poi l'abbia bevuta disciolta nell'acqua o l'abbia mangiata, attiene alla ricostruzione di competenza dell'autorità giudiziaria”. Fatto sta che nella stanza D5 del residence Le Rose c'erano molliche di pane rigurgitate, con presenza di polvere bianca, e una bottiglietta d'acqua mai esaminata dalla scientifica. Avato sposta l'ora della morte tra le 10.45 e le 11.45 della mattina di San Valentino del 2004 e conclude che il cadavere sia stato spostato, probabilmente nel pomeriggio, perché anche nel video della polizia si notano segni di trascinamento spiegabili solo se il sangue fuoruscito non si era ancora rappreso. “Il corpo era poggiato sul fianco sinistro” sottolinea Avato, “con la parte destra più alta. Rimanendo così per molte ore, a causa dell'emorragia il sangue sarebbe defluito maggiormente nel polmone sinistro”. Invece è il destro a pesare di più, circa 200 grammi.

Cold case è una sconfitta – Come nel caso della morte di Denis Bergamini, anche la gestione delle prime ore dopo il ritrovamento del cadavere “aprirebbe un discorso davvero molto ampio sulle indagini investigative, sulle modalità di approccio al delitto che definirei un po' ‘provinciale‘” spiega Avato. “La medicina legale dovrebbe essere la genitrice prima di ogni ricostruzione. Noi avevamo un sistema di indagine che è stato un modello per tutto il mondo, ma l'abbiamo trascurato e abbiamo sviluppato un approccio inglese, alla Scotland Yard, che è antico”. Ogni vicenda delittuosa, prosegue Avato, “ogni episodio che richieda competenze medico-legali è sempre diverso”. Nelle inchieste sulla morte di Bergamini e di Pantani, tuttavia, c'è uno schema ricorrente: un'indagine frettolosa, una tesi accettata dal primo momento come vera, sopralluoghi tutt'altro che da manuale sulla scena. “Qui si tratterebbe di considerare dall'inizio tutti i passaggi, le decisioni che hanno portato alla formulazione iniziale. Il punto sostanziale è che le competenze richieste in situazioni del genere devono sempre essere intese come competenze di altissimo livello”. Ma così non è stato, come dimostra lo stesso video della Scientifica in cui si vedono addetti che perlustrano la stanza senza protezioni, senza guanti e non prendono le impronte digitali. Per questo, conclude Avato, “il cold case non va inteso come un'occasione per mettere in rilievo le capacità tecniche. Possiamo discutere se l'insufficienza originaria dipenda da un'impostazione organizzativa o da altre cause. Ma la riapertura di un cold case è sempre il marchio di una primitiva sconfitta”.

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