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L’Isis e i traffici di reperti archeologici con la ‘ndrangheta, aperta inchiesta

Un’inchiesta giornalistica ha rivelato l’esistenza di un florido mercato nero di opere d’arte antiche trafugate dalle zone in mano ai jihadisti. La magistratura ha deciso di aprire una indagine affidata ai carabinieri per accertare i fatti.
A cura di A. P.
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Niente più distruzione di repenti archeologici antichi nelle aree occupate, l'Isis invece da qualche tempo starebbe mettendo in atto una selvaggia depredazione  di opere antiche da rivendere al mercato nero in cambio di armi con la mediazione della criminalità organizzata italiana. È quanto ha rivelato una inchiesta giornalistica di Domenico Quirico sul quotidiano La Stampa secondo la quale gli uomini del Califfato da tempo avrebbero instaurato affari redditizi con la ’ndrangheta calabrese utilizzando il porto di Gioia Tauro come luogo per il commercio illegale di opere d’arte.

Secondo l'inchiesta, i fondamentalisti avrebbero trovato un sistema per scambiare reperti archeologici saccheggiati in Libia e in medio oriente con kalashnikov e Rpg anticarro che la ’ndrangheta, anche con la mediazione della camorra, farebbe  arrivare dalla Moldavia e dall’Ucraina grazie alla mafia russa facendo viaggiare la merce su navi porta container gestiti dalla criminalità cinese. Quirico, spacciandosi per un ricco collezionista, ha incontrato alcuni emissari a Vietri sul Mare, sulla Costiera Amalfitana, osservando con i suoi occhi reperti provenienti dalla Libia ma anche foto di altre statue già sul mercato.

Un commercio ben rodato dunque sul quale anche la magistratura italiana vuole fare luce. La Procura di Salerno infatti ha deciso di avviare un'indagine sul presunto traffico di reperti archeologici dando incarico alla polizia giudiziaria di approfondire le notizie di stampa. Gi accertamenti sono stati affidati ai carabinieri  del ROS e ai colleghi della Tutela Patrimonio artistico. Conferme sull'esistenza di un florido mercato nero arriva anche dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. "Abbiamo studiato il Pil del terrore e sappiamo che una delle componenti è il mercimonio delle opere d’arte. Tutto il fatturato criminale del sedicente stato islamico nasce da una serie di fattori e fra questi la vendita di opere d’arte sfuggite alla furia iconoclasta dei miliziani è una voce importante" ha sottolineato infatti il Ministro.

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