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Il viaggio della speranza del profugo sotto il camion: 36 ore da Atene a Milano

“Urlavo per tenermi sveglio, cadendo sarei morto”, la scioccante testimonianza di Rebaz, 20enne afgano, che si è fatto 2.120 chilometri di viaggio senza dormire, mangiare e bere, senza scendere neanche per un secondo dal tir sul quale viaggiava per raggiungere il nostro Paese.
A cura di Biagio Chiariello
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“Dovevo partire, non ce la facevo più”. Rebaz, un profugo afghano di 20 anni, aveva un solo obiettivo: fuggire dalla guerra. Era rimasto solo dopo aver perso la famiglia in un attacco kamikaze e, con una gamba artificiale a causa di una mina che lo aveva fatto saltare in aria, ha viaggiato per 36 ore, da Atene a Milano, percorrendo2.120 chilometri sotto il tir, senza mai scendere, mangiare o dormire. Un’esperienza assolutamente scioccante che il giovane ha raccontato a Il Tirreno. Rebaz ha pagato mille euro ad un trafficante di uomini per quel viaggio infernale vissuto con la costante paura di cadere sull'asfalto: la testa sul semiasse, il piede sull’albero di trasmissione, i gas di scarico che picchiavano in gola.

Aveva già viaggiato già a lungo Rebaz: prima l’Iran, poi la Turchia, dove ad Ayvalik, ha preso un gommone di fortuna con altri trenta migranti ed è approdato sulle coste di Lesbo, l’isola greca che da tempo anni accoglie i rifugiati in fuga dalla guerra in Siria, in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Palestina. È stato quindi portato nell’hotspot di Moira, a Mitilene, un vero e proprio centro di detenzione, circondato da un muro alto cinque metri e filo spinato. Ci è rimasto sei mesi, finché non è scappato verso Atene, dove ha conosciuto l’uomo del camion:  “Se volete uscire da questo Paese l’unico modo è passare sotto un camion” ha detto a Rebaz.

“Io ci ho pensato molto, ma avevo paura, poi mi sono deciso” ricorda. Ha attraversato la Grecia, la Macedonia, la Serbia, la Croazia e la Slovenia.Oltre duemila chilometri sempre sotto il tir. “Il camionista – racconta – si è fermato a lungo solo una volta, per dormire. Ma non sono sceso. Mi hanno detto che la polizia serba mi avrebbe picchiato e rispedito indietro. Avevo paura anche solo a mettere la testa fuori”. Durante quelle 36 ore è riuscito anche a fare un video. Alla fine è arrivato a Milano, ma il suo obiettivo resta la Svezia: “Tu mi dai del pazzo per quello che sto facendo – dice lui – ma non ho scelta. O decidi di morire o parti”.

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