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Choc a Vicenza: l’inquietante sfida tra medici e infermieri a chi fa più male ai pazienti

Ha dell’assurdo la vicenda emersa al Pronto Soccorso del San Bortolo. In un gruppo Whatsapp, alcuni componenti del personale, avrebbe ingaggiato una sorta di gioco in cui il punteggio era dato dalle dimensioni di aghi e cannule infilati nel corpo dei pazienti.
A cura di Biagio Chiariello
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Un inquietante gioco sulla pelle dei pazienti in attesa di ricovero al Pronto Soccorso. Facevano a gara a chi infilava aghi e cannule di maggiori dimensioni nei corpi dei pazienti del San Bortolo di Vicenza, con conseguente maggiore sofferenza dei malati, e confrontavano i "risultati" su un gruppo Whatsapp. L’incredibile vicenda è venuta a galla, come riporta Il Giornale di Vicenza, al termine di un procedimento disciplinare interno che ha visto sul banco degli imputati due medici e sei infermieri, i protagonisti dello squallido passatempo.

Stando alle ricostruzioni, la decisione di dare avvio al “gioco delle flebo” sarebbe stata presa durante una cena e la storia sarebbe andata avanti fino a quando uno dei partecipanti, pentito, a deciderne di parlarne con il primario Vincenzo Riboni, che, ovviamente, ha subito informato la dirigenza del nosocomio.  Secondo quanto riportato, i protagonisti avrebbero creato un gruppo sul noto servizio di messaggistica istantanea, chiamato "Gli amici di Maria", in cui veniva riportati, praticamente in diretta, le rispettive imprese, appunto infilare aghi a cannule nei corpi dei poveri degenti, il cui punteggio era dato dalle dimensioni di questi. I risultati sarebbero stati raccolti in un tabellone.

Il direttore generale, Giovanni Pavesi, ha aperto otto procedimenti disciplinari, e l’avvocato Laura Tedeschi, capo dell’ufficio legale dell’Ulss, ha formalizzato i capi di accusa ed emesso le sentenze. Alla fine, un medico sarebbe sanzionato con la censura scritta, un infermiere con un rimprovero scritto. Erano gli unici in servizio, nel momento della ‘gara’, mentre gli altri (un medico donna e cinque infermieri, tre donne e due uomini) non erano in servizio e sono riusciti a farla franca solo per questo. Ma il caso potrebbe non finire qui: il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ha annunciato che intende portare gli atti in Procura.

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