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“Vuoi lavorare? Devi togliere il velo”: così a Sara, milanese figlia di egiziani

Sara è una cittadina italiana di 21 anni figlia di egiziani. A Milano studia all’università, ha cercato lavoro in qualche azienda ma è stata respinta perché indossa lo hijab, il tradizionale velo islamico. Lei, stanca della discriminazione, ha presentato ricorso.
A cura di Susanna Picone
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Sara è una cittadina italiana di 21 anni figlia di egiziani. A Milano studia all’università, ha cercato lavoro in qualche azienda ma è stata respinta perché indossa lo hijab, il tradizionale velo islamico. Lei, stanca della discriminazione, ha presentato ricorso.

Sara Mahmoud è una ragazza italiana di 21 anni, è nata a Milano ed è figlia di genitori egiziani partiti dal Cairo un quarto di secolo fa. Frequenta l’università e studia per laurearsi in Beni Culturali. Parla ovviamente l’italiano, con accento milanese, ma anche l’arabo, come tutti nella sua famiglia. E, per motivi religiosi, indossa lo hijab, il velo tradizionale islamico. Ed è questo il “problema” di Sara, quel velo per colpa del quale molte aziende non le offrono un lavoro. Perché Sara, come tantissimi ragazzi in Italia, avrebbe bisogno di guadagnare qualche soldo per non pesare totalmente sulle spalle della sua famiglia, si accontenta anche di un lavoro saltuario ma per lei non sembra esserci nulla. E la colpa, questa volta, non è della crisi ma proprio di quel fazzoletto che porta sui capelli. Un velo che le incornicia solo il volto, che le lascia scoperti occhi, fronte, bocca e naso e dunque non pregiudica nemmeno la possibilità di fare un documento. L’ultima azienda glielo ha detto chiaramente: il “no” le è stato comunicato via mail da una società che cura eventi in Fiera. Non la vogliono perché Sara si rifiuta di togliere il velo.

“Purtroppo gli italiani non sono così flessibili” – Ed è per questo motivo che la giovane italiana – la sua storia è stata raccontata da Repubblica – ha deciso di rivolgersi a uno studio di avvocati specializzati in procedimenti contro la discriminazione razziale e di fare causa per ristabilire quello che ritiene un suo diritto. Perché non è giusto che Sara debba essere penalizzata nella società per la sua religione. Repubblica riporta il “confronto” via mail tra la giovane e l’azienda: “Cia Sara, mi piacerebbe farti lavorare perché sei molto carina, ma sei disponibile a toglierti il chador?". Lei risponde, tentando di spiegare le sue ragioni: "Ciao Jessica, porto il velo per motivi religiosi e non sono disposta a toglierlo. Eventualmente potrei abbinarlo alla divisa". Da qui la nuova mail dell’azienda: "Ciao Sara, immaginavo. Purtroppo i clienti non saranno mai cosi flessibili. Grazie comunque". La 21enne insiste: "Dovendo fare semplicemente volantinaggio, non riesco a capire a cosa devono essere flessibili i clienti", ma non riceve più risposta. Lei non demorde tanto che ora due avvocati depositeranno un ricorso al tribunale civile di Lodi chiedendo di “accertare e dichiarare il carattere discriminatorio dei comportamenti” tenuti dalla società che ha negato il lavoro alla giovane per colpa del velo che indossa.

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