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Ai Giochi di Rio vince l’Italia ‘silenziosa’ che non molla

Le imprese di Campriani e Cagnotto, il podio nella spada portano gli azzurri a quota 23 nel medagliere olimpico: 8 ori, 9 argenti, 6 bronzi. Dalle ‘mamme del Tiro’ fino al trionfo della bolzanina nei tuffi: è l’Italia silenziosa di coloro che vincono, fanno la storia poi tornano alla vita di tutti giorni e riprendono a combattere. Senza ricevere medaglie.
A cura di Maurizio De Santis
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"Mi sono goduta tutto. Tuffo per tuffo. Ho saltato per me. Ho dato tutta la mia vita a questo sport. Ora basta, ne comincia una nuova". La giornata di grazia dell'Italia ai Giochi di Rio è nelle parole che Tania Cagnotto scandisce con leggerezza. La tensione della gara non c'è più, è svanita quando la canadese – fino allora rivale durissima – ha fallito l'ultimo salto e le ha consegnato la medaglia di bronzo che vale come un oro. Il secondo podio dopo l'argento che aveva conquistato assieme a Francesca Dallapé, nel sincro da 3 metri. Quello della maledizione svanita e di silenzi troppo duri da raccontare. Negli occhi ha la pace e un velo di tenera tristezza, perché sa che è finita lì, in Brasile, l'avventura agonistica. Quando esce dall'acqua ha il volto sereno e sorridente. Ce l'ha fatta, nulla ha più da chiedere a se stessa. E' il momento di voltare pagina. Ognuno sa quand'è giunta l'ora.

Il bronzo nei tuffi e poi l'argento nella spada, con l'Italia che in finale viene surclassata dalla Francia. Dal trampolino alla pedana, di corsa. La notte italiana sfuma sulla delusione degli azzurri che si ‘accontentano' del secondo posto. In altri tempi, avremmo considerato l'esito (quasi) come una sconfitta ma il bilancio olimpico nella scherma non ci consente sottigliezze. Prendi e porta a casa, poteva andar peggio. Eppure tutto sembrava iniziato sotto ben altri auspici con Fiamingo e Garozzo che avevano rispolverato l'ardore e l'orgoglio di una tradizione vincente. Il resto è sembrato solo un brutto incubo che ha risucchiato le nostre speranze/certezze legate al fioretto.

Più ‘Fede'. Sì, ne sarebbe occorsa molto di più e anche un pizzico di forza maggiore per domare la carica delle ‘millenials' che hanno fatto la rivoluzione generazionale in vasca. Katie Ledecky (19 anni) e Penny Oleksiak (16 anni) hanno portato il nuoto in un'altra dimensione, cannibalizzando le avversarie ‘più vecchie'. E' successo perfino a un semi-dio come Phelps, battuto dal ragazzino – il coreano Schooling – che quindici anni fa gli chiedeva l'autografo e una foto ricordo mentre a Rio s'è tolto lo sfizio di mettere in fila lui e un altro mostro sacro come Chad Le Clos.

Il campione di Baltimora ha lasciato il segno nella storia dello sport. Chissà, forse passeranno altri duemila anni prima che un ‘Leonida del futuro' spodesti dal trono millenario l'americano che nel 2012, dopo Londra, aveva annunciato il ritiro ma non era pronto ad accettarlo. Adesso che è finalmente in pace con se stesso può lasciarsi una vita alle spalle. Quella di ‘Greg' Paltrinieri, invece, è appena iniziata. Il volto pulito del ‘ragazzo' che trionfa nella 1500 stile libero restituisce al nuoto azzurro fiducia. Senza quell'oro la foto della Pellegrini che appare fragilissima dopo aver fallito la sua gara principe avrebbe fatto da epitaffio alla nostra esperienza ai Giochi. La portabandiera del Paese che s'arrende senza combattere e volta le spalle ai suoi tifosi (come sembrava nello scatto su Instagram) con lo sguardo perso nel vuoto: no, non poteva essere questa l'icona dell'Italia in Brasile.

Possono esserlo, invece, le espressioni genuine e un po' imbarazzate di Bacosi e Cainero, le loro storie semplici che un Guareschi dei nostri tempi avrebbe tratteggiato nella provincia laboriosa: donne, mamme, sportive, campionesse. Chi l'ha detto che non si può essere tutte queste cose assieme? Chi l'ha detto che l'una debba per forza escludere l'altra? Essere mamma è un valore aggiunto, non una penalizzazione. In un Paese che ha tradito i propri figli, gettando sulle loro spalle un fardello pesantissimo, le loro vittorie sono un invito a non mollare. Mamma ce l'ha fatta, puoi farcela anche tu. E così Rossetti, figlio d'arte, è arrivato laddove papà Bruno non è giunto: a Gabriele è andata la medaglia d'oro che il genitore vide solo dal gradino più basso del podio a Barcellona '92. Campriani ha addirittura concesso il bis portando a casa il metallo più prezioso per la seconda volta. Tutti nelle specialità del Tiro, che sia a segno o a volo. Viviani trionfa sulla pista, nell'omnium: cade, si rialza, rimonta e poi suggella il successo con un pianto liberatorio, abbracciando i genitori. Bruni strappa un argento nuotando tra i flutti solo con la forza delle proprie braccia.

Sembra fatto apposta: in un'Italia che fatica a guardare poco oltre la punta del proprio naso, che tutto cambia perché nulla cambi, buona parte dei trofei conquistati (23 complessivi – 8 ori, 9 argenti, 6 bronzi) arriva da coloro che hanno centrato l'obiettivo con pochi soldi in tasca, un flash di notorietà e solo tanta forza d'animo. E' l'Italia silenziosa di coloro che vincono, fanno la storia poi tornano alla vita di tutti giorni e riprendono a combattere. Ma senza ricevere medaglie.

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