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Tra bavaglio e norme “pro-casta”, il ddl diffamazione si arena al Senato

“Chi odia i giornalisti?” Emblematico è lo sfogo del senatore del Pd, Vincenzo Vita, dettato dall’andamento dei lavori sul disegno di legge ieri a Palazzo Madama. Dopo gli scontri tra i gruppi, tutto rinviato a lunedì. Tra le novità, rettifica obbligatoria per tutte le testate e contributi all’editoria per risarcire il danno.
A cura di Biagio Chiariello
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Il ddl diffamazione dovrà fare ancora parecchia strada nelle aule del Parlamento prima di un'approvazione definitiva. Il Senato ha infatti sconfessato l'accordo raggiunto nella tarda serata di mercoledì, 24 ottobre, dalla maggioranza sul disegno di legge. Il testo si è arenato a Palazzo Madama, sopratutto grazie ai voti di Pdl e Lega che hanno permesso di respingere gli emendamenti soppressivi, ai quali i relatori avevano pure dato parere favorevole. Così dopo una serie di interventi in dissenso da parte dei gruppi, il vice presidente del Senato Vannino Chiti ha proposto, e l'aula ha accolto la proposta, di sospendere l'esame del ddl, che riprenderà lunedì pomeriggio. Emblematico è il commento del capogruppo Pd Anna Finocchiaro che ha descritto l'aula come «un'arena, un Colosseo dove si vuole vedere scorrere il sangue».

"Chi odia i giornalisti?" – Il dibattito sulla cosiddetta "Legge salva-Sallusti" ha confermato, con la delicatezza del tema, soprattutto l'inconsistenza degli accordi fra i principali partiti al Senato rispetto a quelle che erano i propositi della vigilia. «E' venuto allo scoperto il partito trasversale di chi odia i giornalisti? E noi faremo il partito di chi i giornalisti li vuole difendere, ma l'art. 1 è l'ultima trincea. Se salta anche quello, meglio lasciar perdere tutto». E' lo sfogo del senatore del Pd, Vincenzo Vita, è dettato dall'andamento dei lavori del Senato.

Contributi all'editoria per risarcire il danno – Il bilancio della giornata vede risaltare la restituzione dei contributi pubblici per l'editoria ai giornali condannati. La somma decurtata sarà corrispondente alla multa comminata. Lo prevede il comma 2 dell'articolo 9 per il quale invece era stata decisa la soppressione, con parere favorevole di governo e relatori. Contro l'emendamento si sono espressi 119 senatori, a favore 112, astenuti 9. Il voto, di fatto, sconfessa parte dell'accordo politico che sembrava raggiunto l'altro ieri nella riunione tra i rappresentanti dei gruppi volto a escludere, appunto, la rivalsa sui fondi all'editoria.

Rettifica obbligatoria, per tutte le testate – I senatori hanno approvato l'emendamento Rutelli-Bruno (Api) che impone al gestore di un archivio digitale di una testata editoriale online l'integrazione o l'aggiornamento, su richiesta dell'interessato, della notizia che lo riguarda alla luce di un'avvenuta rettifica. In sostanza, deve esserci una modalità di collegamento tramite ‘link' che assicuri la visibilità della rettifica della notizia originaria. Semmai ce ne fosse bisogno, va precisato che l'obbligo di rettifica non vale solo per i quotidiani cartacei ma anche per i "prodotti editoriali diffusi per via telematica, con periodicità regolare e contraddistinti da una testata".  Quindi, non soltanto alle edizioni telematiche delle testate giornalistiche vere e proprie.

Carcere per i giornalisti, voto segreto  – Tra le misure adottate, una in particolare, di natura procedurale, conferma le ostilità che ruotano intorno al ddl diffamazione: Palazzo Madama ha autorizzato infatti il voto segreto sull'articolo 1, punto chiave del disegno di legge, quello che prevede, tra le altre cose, l'abolizione del carcere per i giornalisti condannati. La richiesta è stata presentata da venti senatori di cui non sono stati resi noti i nomi ed accolta dal vicepresidente di turno, Vannino Chiti, previa consultazione con il presidente Renato Schifani.

Legge pro-Casta – C'è poi una norma, tra gli emendamenti sulla diffamazione a mezzo stampa, che «mira a tutelare la ‘casta’ politica e istituzionale dalla pubblicazione di articoli sulle spese folli», poiché monitora i contenuti ritenuti «offensivi». Lo scrive l'agenzia Dire, precisando che l'obiettivo è impedire la pubblicazione della "spese folli" delle amministrazioni pubbliche, come è successo recentemente col caso di Francone Fiorito alla Regione Lazio. Non è tutto, il divieto coprirebbe anche i «mega stipendi di chi riveste un ruolo pubblico ma che non sono esattamente conteggiabili perché magari frutto di cumuli». L'idea è venuta al senatore del PdL Luca Malan che commenta così: «Io credo in un Dio di Verità che combatte il padre della menzogna».

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