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Torino, papà costringe il figlio di 8 anni a recitare ogni mattina le tabelline: a processo

Il bambino doveva ripetere a memoria le tabelline fino a quella del 15 ogni mattina, ancor prima di fare colazione. E se sbagliava il padre lo picchiava. L’uomo si è difeso dicendo che lo faceva per il suo futuro. Alla fine il processo si è chiuso con il patteggiamento: tre mesi per abuso dei mezzi di correzione.
A cura di Susanna Picone
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Ogni giorno, prima ancora di far colazione, un bambino di otto anni doveva andare dal padre e recitare le tabelline. Per Luca di fatto i numeri hanno accompagnato gran parte della sua infanzia. Ma questo “obbligo” di dover ogni mattina recitare, senza sbagliare, le tabelline dinanzi al padre ha portato il genitore in tribunale. A raccontare la vicenda che arriva da Torino è il quotidiano Repubblica. “È papà che mi segue – ha raccontato il piccolo Luca in tribunale – Mi fa andare su da lui e io devo dire quello che devo dire”. E cioè le tabelline: “So tutta quella del 15, dall'1 fino al 12 le so tutte, e invece del 13 e 14 so solamente cinque numeri, praticamente 13- 26- 39- 52- 65”. E che succede se sbaglia qualche numero? A volte capita “e papà mi picchia”, ammette il bambino. A quanto emerso, per tre anni il bambino è stato costretto a questo “rituale”, praticamente  da quando di anni ne aveva cinque. Luca ha un fratello gemello, ma il padre ha sempre chiesto solo a lui di rispondere a queste “interrogazioni” del mattino. “Papà lo fa solo con me perché io sono più bravo”, racconta.

Da parte sua il papà, finito sotto processo per maltrattamenti e allontanato dalla casa per sei mesi, si è difeso ammettendo di comportarsi in questo modo per il futuro del figlio: “I bambini devono crescere in fretta e bene, chiedo di recitare le tabelline al mattino presto perché poi io sono fuori casa tutto il giorno”, è quanto ha detto al pm. Alla fine di un procedimento durato mesi, durante i quali all'uomo è stata inflitta una misura di allontanamento da casa, i suoi avvocati hanno convinto il giudice ad affievolire le accuse nei confronti dell'indagato. La tesi della difesa è che all'origine di questi suoi “metodi” ci fosse il desiderio educativo e non di mortificazione del figlio. Alla fine il processo si è chiuso con il patteggiamento: tre mesi per abuso dei mezzi di correzione.

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