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Stuprata e massacrata con un tubo di ferro: l’omicidio della trans Donatella

Stuprata con il bottiglione di vetro e poi massacrata con un tubo di ferro: Donatella Manunta, tra le prima trans italiane a sottoporsi all’intervento per la riattribuzione del sesso, è la vittima di un cold case rimasto senza colpevole. Il killer le lasciò una carta da gioco sul petto, una ‘firma’ che si sarebbe ripresentata in altri delitti del nord est.
A cura di Angela Marino
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Via Untoria, Savona centro. Il 22 marzo 1990 Donatella Manunta, 51 anni, viene trovata morta nel suo appartamento del capoluogo ligure. Ha la testa sfondata, una damigiana vuota conficcato nei genitali e una carta da gioco sul petto: la donna di picche.

La storia di Donatella Manunta

La morte di Donatella colpisce duramente quanti le erano vicini e avevano vissuto con lei il calvario che aveva affrontato negli ultimi anni. Alle porte degli anni Novanta, Donatella, nata Salvatore, a Sassari, è una delle prime trans italiane a sottoporsi all'intervento di riattribuzione del sesso, con tutti i pregiudizi e le difficoltà che questo cammino comporta. A Savona era una delle escort più desiderate. A Savona Donatella, ormai donna, sopravvive prostituendosi. La si vede spesso a Calata Sbarbaro, dove uomini di ogni età ed estrazione sociale si fermano a guardarla per poi allontanarsi insieme a lei. Per alcuni si sente un fenomeno da baraccone, per altri un semplice oggetto, certo non può essere una donna normale come avrebbe sempre sognato. Il suo stile di vita non le permette di avere una relazione stabile, ma solo fugaci amori che si dissolvono in pochi mesi. A cinquantun anni la sua bellezza sta sfiorendo, è stanca e non ne può più di quella città retriva e ostile. Vuole trasferirsi a Genova e aprire una sua attività, un hotel, ma quell'ultimo sogno di normalità viene spezzato la notte del 22 marzo.

La firma dell'assassino

Alcuni elementi della scena del crimine lasciano credere che Donatella abbia volontariamente aperto la porta all'assassino. Sul tavolo, infatti, ci sono due bicchieri. I sospetti cadono sull'ex fidanzato della vittima, Pino Tortelli, addetto del cimitero di Stella. L'uomo – che afferma di essere entrato e di aver trovato Donatella in un lago di sangue – viene incriminato nel '93 dopo che un vicino di casa aveva testimoniato di averlo visto entrare dal portone in corrispondenza dell'orario del delitto.L'uomo aveva avuto sicuramente l'opportunità di agire, quanto all'alibi, però, gli inquirenti brancolano nel buio. Donatella è stata stuprata con il bottiglione di vetro e poi massacrata con un tubo di ferro: infine, l'assassino le ha posato una carta da gioco sul petto. Si tratta di un linguaggio preciso, con tanto di firma, che appartiene più a un killer seriale (Michele Profeta contrassegnava le sue vittime con una carta da poker) che a un cittadino incensurato che aveva avuto un breve flirt con la vittima. Dopo quattro anni di detenzione, Tortelli viene scagionato per non aver commesso il fatto.  Dopo l'assoluzione chiede un risarcimento di 100 milioni di lire per ingiusta detenzione, ma muore prematuramente nel '98.

Il sospetto di un serial killer

Quando il caso sembra destinato alla polvere degli archivi, a sorpresa, arriva la svolta: Tullio Renato Pisano, 36 anni, di Cengio, pregiudicato per reati contro il patrimonio, viene arrestato per l'omicidio di via Untoria. Contro di lui l'impronta di pollice trovata sulla bottiglia rinvenuta sul luogo del delitto è coincidente in dodici punti con la sua.  L'elemento che collega il pregiudicato alla casa del delitto, si rivela insufficiente a provare un'accusa di omicidio. Il 36enne viene assolto con sentenza definitiva. La firma del killer di Donatella si ripresenterà in altri delitti nel nordest rimasti insoluti.

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