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La famiglia che da 9 anni gira il mondo in van: “I nostri figli hanno una quotidianità diversa non sbagliata”

Katia e Ale da 9 anni viaggiano in van in giro per il mondo coi figli: non hanno una casa (intesa come casa di mattoni) e si spostano ogni due mesi. A Fanpage.it hanno spiegato cosa significa essere una “nomad family”.
A cura di Giusy Dente
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Instagram @famwithoutplan
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Katia e Ale si sono conosciuti nove anni fa. Parlando con Fanpage.it, lei lo ha descritto come il più classico dei colpi di fulmine, di quelli che ti fanno mettere il piede sull'acceleratore. Loro, infatti, nel giro di poco sono andati a convivere. Katia era reduce da una serie infinita di viaggi: il suo stile di vita è sempre stato improntato alla libertà, alla scoperta, in continuo movimento tra luoghi diversi, Paesi diversi, culture differenti. Ritrovarsi in una situazione di stabilità l'ha messa in crisi e il suo compagno si è accorto subito di quel malessere. Eppure non ha mollato la presa, anzi: ha deciso di abbracciare anche lui quello stile di vita, farlo proprio, perché a sua volta stanco della routine, dei vincoli di una vita "normale". Così sono partiti e non si sono mai più fermati: il periodo più lungo che hanno fatto nello stesso posto è di appena due mesi! E nel mentre la loro nomad family si è anche allargata.

Cosa significa essere una "nomad family"

"Non abbiamo una casa, non solo intesa come casa di mattoni. Il nostro essere nomadi è proprio non avere un senso di appartenenza, un luogo fisso" ha spiegato Katia a Fanpage.it, ripercorrendo la storia della sua famiglia che tutto è tranne quella del Mulino Bianco! Prima di incontrare il suo compagno aveva trascorso un lungo periodo in giro per il mondo: "Io sono partita la prima volta facendo uno scambio culturale a 16 anni negli Stati Uniti. Da lì non mi sono più fermata: ho fatto un on the road in California, poi ho viaggiato per 3 anni tra Stati Uniti-Centro America-Sud America, poi sono tornata in Europa per specializzarmi negli studi, sono ripartita per gli Emirati Arabi per un'offerta di lavoro. Ho lavorato lì 8 mesi e ho ripreso a girare nel Sud-Est Asiatico, dal Medio Oriente fino in India solamente via terra, per circa due anni e mezzo. Mi sono fermata un anno in India, ho fatto un altro viaggio solo via terra fino a Timor, che ho lasciato quando è scoppiata la  guerra civile. A quel punto sono andata in Australia. Da lì sono dovuta rientrare in Italia per problemi legati al visto: avevo già un figlio di 3 anni e in quel momento ho scoperto di aspettare il secondo figlio. È in quel momento che ho conosciuto Ale".

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La vita con lui è stata per certi versi una gabbia: "Io ho provato a vivere la sua vita per un anno, ma non è andata molto bene. Ovviamente era la sua vita, una vita molto molto tradizionale. Non so sinceramente per quanto tempo ce l'avrei fatta. Un giorno lui mi ha guardato e mi ha detto: "Ok, questa vita non è fa per te. Io mi sono reso conto che non voglio passare la vita a lavorare e vedervi di sera, quindi forse la vita giusta è quella che hai sempre fatto tu. Partiamo". Io sinceramente non me lo aspettavo, lui era una persona molto radicata, stava per comprare casa".

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Adattarsi a una vita perennemente in viaggio non è stato facile per lui, che a quello stile non era abituato, che non sapeva come fosse stare perennemente lontano dalla famiglia e dagli amici. Nel 2023 ha affrontato un periodo di crisi che ha messo a dura prova tutta la famiglia: "Ha deciso di fermarsi per fare una stagione lavorativa vicino a casa sua, ai suoi genitori, agli affetti. Però si è reso conto che anche se quella vita ogni tanto gli manca non la farebbe. Ha capito di non voler tornare indietro". In quei mesi Katia è stata in Thailandia coi bambini, che oggi sono 3. "Abbiamo scoperto di aspettare il terzo quando eravamo ai confini della Siria" ha ricordato.

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Come si vive on the road

"Famiglie straniere che fanno questa vita, ce ne sono tante in giro per il mondo. Poche italiane" ha spiegato Katia. Il nostro è un Paese molto più legato all'appartenenza territoriale, al legame fisico con un posto, con la famiglia di origine. Per loro, invece, sono altre le cose importanti: "Per me la famiglia sono le persone, in qualunque posto esse si trovino. Ci sono periodi che scegliamo dove andare, altre volte partiamo e basta. Sono molto legata a Tarifa, il primo posto dove siamo andati io e Ale, il primo posto che ci ha accolto come famiglia nomade. Torniamo lì ogni anno per 1-2 mesi. L'altro posto che consideriamo casa è Fuerteventura".

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Economicamente, ciò che fanno è assolutamente sostenibile: "All'inizio io avevo i risparmi messi da parte in tutti gli anni di lavoro in Australia e negli Emirati Arabi. Il mio compagno idem, perché lui comunque ha lavorato 10 anni nello stesso posto. Poi abbiamo alternato periodi in cui per esempio facevamo lavori stagionali, ovviamente mai nello stesso momento, perché altrimenti la gestione dei bambini non sarebbe stata fattibile. Ora ci manteniamo facendo solamente lavoro da remoto: io mi occupo di scrittura e il mio compagno di grafica. Ci concediamo raramente una cena fuori, non facciamo cose particolari di questo tipo. Non ci facciamo problemi a mangiare fuori dal supermercato. Preferiamo spendere 150 euro per far fare una lezione di kitesurf ai bambini piuttosto che spendere la cifra al ristorante".

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Il van di famiglia oggi accoglie Katia, Ale, tre bambini e un cane. Com'è la loro quotidianità? "La nostra giornata tipo dipende moltissimo dal Paese dove siamo. Non non abbiamo sveglie: ci svegliamo normalmente con la luce del sole. La mattina è dedicata alla parte scolastica dei bimbi: hanno 12, 8 e 3 anni. Alla loro istruzione provvediamo noi, ma se manifestano un certo interesse per alcuni argomenti o se serve aiuto, ci appoggiamo anche a persone esterne, non necessariamente insegnanti, ma anche persone appassionate di quella cosa in particolare. I bimbi non hanno i social, non hanno il telefono: a volte usano il nostro se devono cercare qualcosa su Google. Quella è una risorsa che mettiamo sempre a disposizione: noi non demonizziamo la tecnologia se utilizzata con cognizione di causa. Di base loro fanno fatica a stare fermi anche solo 5 minuti, quindi già solamente che riescono a vedere un cartone animato dall'inizio alla fine è una grande conquista".

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Gli stimoli principali arrivano dalla vita vera, non da quella offline dallo schermo di un telefono: "Trascorrono la giornata all'esterno, qualunque tempo ci sia, qualunque condizione ci sia, in qualunque luogo siamo. Hanno anche alcune passioni sportive: il grande fa surf e spesso e volentieri andiamo in posti abbastanza conosciuti per questo tipo di sport. Gli altri si dilettano con il kitesurf, con lo skate, insomma di ogni. Hanno tanto da fare e hanno tantissimi amici che trovano in giro per il mondo, con cui passano il tempo". Ovviamente, di base c'è una buona organizzazione.

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È tutto un incastro: "Io faccio le grandi pulizie, mentre della pulizia quotidiana si occupa il mio compagno. Per l'educazione e la gestione dei bambini siamo molto intercambiabili, ma io vado molto più forte con l'italiano, lui con la matematica". La coppia riceve molte critiche per lo stile di vita in cui hanno immerso i loro tre figli: "Mio Dio questi poveri bambini che non fanno una vita normale: questa frase è un grande classico. Hanno semplicemente una quotidianità diversa, ma non gli togliamo nulla rispetto agli altri bambini. In cambio hanno un'apertura mentale molto più grande. Non percepiscono il diverso come sbagliato, ma semplicemente come diverso".

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