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Vanity sizing: perché le taglie sull’etichetta sono un inganno, servono solo ai brand per vendere di più

Il “vanity sizing” ha reso le etichette con le taglie del tutto prive di significato. Servono solo a vendere di più, sono una strategia dei brand.
A cura di Giusy Dente
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Entri in un negozio, misuri un paio di pantaloni taglia L e non c'è verso: non si chiudono neppure trattenendo il respiro a oltranza. Poi vai in un altro e contro ogni previsione l'unica taglia disponibile della gonna che ti piace, una M, ti sta quasi larga. Come è possibile? Perché le taglie sono solo un numero a cui abbiamo imparato nel tempo a dare molta più importanza di quella che meriterebbero. Ci hanno insegnato a misurare il nostro valore in termini di chili, in base ai numeri riportati sulla bilancia e sulle etichette. Invece le taglie sono solo una trovata per vendere di più. Dietro c'è una precisa strategia: siamo tutti vittime del vanity sizing.

Perché nel mio negozio preferito l'anno scorso acquistavo capi taglia L e quest'anno, invece, anche se sono rimasta uguale mi sta a pennello una M? I negozi sanno benissimo come fare leva sulla psicologia del potenziale acquirente, sanno quanto la società consideri una taglia L "meno gradevole" di una inferiore. Ecco perché si sono attrezzati. La tendenza è assegnare ai capi di abbigliamento taglie più piccole di quanto non siano in realtà. È un modo per vendere di più. La persona che misura un capo si sente più invogliata a comprarlo leggendo sull'etichetta il numero 42; viceversa leggere taglia 46 getterà in uno stato d'animo poco propenso ad aprire il portafogli, perché genererà malcontento, malumore. Di base i vestiti restano uguali, sono le taglie che rimpiccioliscono, solo per far contenti i clienti e spingerli a strisciare la carta di credito.

Proprio per questo intorno agli anni Duemila le taglie standard si erano a tal punto rimpicciolite da rendere necessaria l'introduzione della XS, XXS e così via. Sicuramente in materia c'è ben poco rigore rispetto al passatoi. Basti pensare che un tempo esisteva un'apposita commissione dal National Bureau of Standards, incaricata di per misurare periodicamente le donne per determinare le taglie tipo. Oggi è tutto più arbitrario: ogni brand ragiona a suo modo, ha le sue misure e i suoi criteri. Ecco perché l'etichetta è vana, priva di significato.

Per i brand è diventata una prassi: le taglie non corrispondono alle reali dimensioni di giacche e jeans. Il cliente, però, crede a ciò che gli fa comodo e preferisce acquistare una taglia più piccola, che è quella socialmente accettata e ben vista. Il messaggio che da anni viene veicolato in tv e sulle passerelle è che "magro è bello": per tanto tempo è stato proposto un unico e solo modello di bellezza, come se per essere giusti bisognasse necessariamente aderire a quel canone, a quello stereotipo. Fortunatamente sono stati fatti dei passi avanti. Mostrare altre fisicità, soprattutto grazie all'esposizione social di alcune modelle e influencer, è stato di aiuto. Le donne soprattutto stanno cercando di liberarsi di quei vincoli estetici che per anni le hanno tenute in gabbia: hanno capito di avere un valore che va ben oltre il numero sulla bilancia o i cm del girovita.

Ovviamente della sicurezza ai brand non interessa nulla: il brand deve vendere, vuole che dall'altra parte ci sia una persona che spende soldi. E gli studi dicono che spenderà di più se sarà felice e se si sentirà magra lo sarà di certo. Basta poco: semplicemente è sufficiente cambiare il numero della taglia senza cambiare le dimensioni degli abiti e il gioco è fatto. Il cliente si sente immediatamente meglio. Coccolando l'ego della clientela attraverso il vanity sizing, i marchi si tutelano e spingono a comprare di più.

Lo dice anche uno studio pubblicato sul Journal of Consumer Psychology: acquistare taglie più piccole o avere l'illusione di acquistare una taglia piccola aumenta l’autostima. Viceversa, una taglia maggiore cambia la percezione del proprio corpo e mette in cattiva luce il capo di abbigliamento stesso, di cui si cominciano immediatamente a vedere pecche e difetti pochi minuti prima inesistenti. A parità di gusto, tra una bella gonna taglia M e una bella gonna taglia L, acquisteremo sempre quella con taglia inferiore. Vale soprattutto per le persone più insicure, con autostima più bassa, che tendono a cercare una rassicurazione nello specchio: sono i più influenzabili. Il vanity sizing influenza il commercio, ma influenza soprattutto la percezione che si ha di sé, alimentando l'equazione magro=bello=giusto. È da questo cortocircuito che dovremmo liberarci, senza che la nostra felicità, la nostra sicurezza, la nostra autostima, il nostro amor proprio dipendano da un numero che non dice assolutamente nulla di noi.

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