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Patagonia e la moda responsabile: “I vestiti più sostenibili? Quelli che sono già nell’armadio”

C’è una differenza tra essere sostenibili e essere responsabili. Fanpage.it ha intervistato Nina Hajikhanian, la nuova general manager EMEA di Patagonia, brand che quest’anno compie mezzo secolo.
A cura di Beatrice Manca
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Può esistere una moda sostenibile? No, però può esistere una moda responsabile. A dirlo è Nina Hajikhanian, la nuova general manager di Patagonia per l’attività in Europa, Medio Oriente e Africa (EMEA). Fanpage.it l'ha intervistata in occasione dei 50 anni del brand, per capire in che direzione si sta muovendo il settore e perché Patagonia ha radicalmente cambiato le regole del gioco quando è stata ceduta a un'organizzazione no profit. Sembra un controsenso: proprio il brand di outerwear Patagonia, citato come esempio virtuoso sul tema della sostenibilità, non si definisce un brand sostenibile. "Ogni cosa che produciamo ha un impatto sul pianeta – spiega Nina Hajikhanian – abbiamo bisogno di vestiti, sì, ma questo non significa necessariamente che dobbiamo comprarli nuovi".

In cosa Patagonia è diversa dagli altri brand?

"Lavorare per Patagonia è diverso che lavorare per qualsiasi altro brand. Siamo tutti uniti nell'impegno a salvare il nostro pianeta,  a prescindere dal ruolo ricoperto, e alla base di ciò che facciamo ci sono valori condivisi: qualità, integrità ambientalismo e giustizia. Ogni collega è incoraggiato ad agire in quella direzione, sia come singolo che insieme al team".

Cosa rende Patagonia un'azienda sostenibile?

"Noi non ci definiamo un'azienda sostenibile: in realtà, non usiamo mai la parola sostenibile né per noi stessi né per gli altri. Ogni prodotto che produciamo ha un impatto sulle persone e sul pianeta. Noi ci sforziamo di essere responsabili realizzando prodotti di alta qualità, in grado di durare nel tempo, di essere riparati facilmente e di avere il minor impatto possibile. Inoltre cerchiamo di usare la nostra voce per un cambiamento positivo".

Nina Hajikhanian, foto di Eva Roefs
Nina Hajikhanian, foto di Eva Roefs

Patagonia compie 50 anni nel 2023: cosa è cambiato da allora?

"Con la crisi climatica che incombe, Patagonia è più seria che mai sulla difesa dell'ambiente. Il nostro scopo è stato radicato nell'azienda fin dall'inizio (…) consideriamo i nostri primi 50 anni come un esempio di business responsabile ed è meraviglioso conservare ancora quello spirito pionieristico che pervade tutto ciò che facciamo, dalla scelta dei materiali con minore impatto al rispetto per le persone che creano i nostri prodotti. Dal 1985 abbiamo donato l'1% dei nostri ricavi e abbiamo fondato "1% for the Planet" per aiutare altri a fare lo stesso. Dal 2018 abbiamo cambiato lo scopo dell'azienda in: "Siamo in business per salvare il Pianeta".

Nel 2022 avete dato una svolta ancora maggiore: il fondatore Yvon Chouinard ha ceduto le quote a due realtà no profit…

"Tutto questo non era abbastanza, così nel 2022 abbiamo trovato la risposta a due problemi urgenti: come possiamo investire ancora più risorse nella lotta alla crisi climatica? E come facciamo a preservare il valore aziendale? Il nostro nuovo modello di business ci permette di redistribuire i profitti che non reinvestiamo nell'azienda alla Holdfast Collective sotto forma di dividendi per proteggere la natura. Anziché estrarre valore dalla natura e trasformarlo in ricchezza per gli investitori, useremo il nostro giro d'affari per proteggere la fonte di ogni ricchezza, la Terra".

Come è stato accolto questo cambiamento in azienda?

"I nostri dipendenti sono la chiave del successo di Patagonia e sono il nostro pubblico più importante, quindi eravamo entusiasti di condividere questa grande notizia. La nostra nuova struttura comporta un impegno ancora maggiore nella difesa di quei valori che ci hanno spinto a unirci a Patagonia. Il valore e l'impatto di ciò che creiamo è direttamente linkato alla nostra ragione d'essere. Dopo l'annuncio c'è stata davvero una sensazione di avere una missione chiara e sono felice che quella sensazione sia rimasta".

Nina Hajikhanian, foto di Eva Roefs
Nina Hajikhanian, foto di Eva Roefs

Qual è l'obiettivo per i prossimi 50 anni?

"Restare fedeli alle nostre radici con un'instancabile attenzione alla qualità, intesa 360 gradi: non solo nei prodotti, ma anche nelle campagne e nelle partnership con le ong e le altre aziende con i nostri stessi valori. Insieme proviamo a rispondere alla domanda più grande: il capitalismo può evolvere? Com'è un capitalismo di qualità? Come possiamo incoraggiare la nostra comunità ad affrontare le questioni alla base della crisi ecologica? E intanto, dobbiamo chiederci: Stiamo facendo abbastanza per migliorare? Stiamo imparando?"

Cosa significa essere un'azienda responsabile oggi?

"Significa prendere le decisioni guardandole dal punto di vista dei diversi stakeholder, incluse le persone e il pianeta. Ma vuol dire anche ispirare i colleghi a prendere iniziativa anziché aspettare direttive dall'alto. Per riuscirci, le aziende devono unire le forze e spingere in direzione del cambiamento, prima che sia troppo tardi".

Il settore della moda potrà mai essere davvero sostenibile?

"Sta diventando ovvio che la strada più rischiosa per le aziende è proseguire come hanno sempre fatto: anche se ragionano sul breve periodo, saranno i loro clienti a chiedere un cambiamento. Ma parlando di moda, nello specifico, il punto è che abbiamo bisogno dei vestiti, ma non significa necessariamente comprarli nuovi. La scelta più sostenibile che puoi fare, riguardo ai vestiti, è quella che si trova già nel tuo armadio. Non si può essere pienamente sostenibili perché ogni cosa che produciamo ha un impatto sul pianeta, ma si può essere responsabili, incoraggiando i propri clienti a prendere decisioni di consumo consapevoli e razionali".

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