Andrea Pellegrino: “Col tennis guadagno tanto anche se non sono un top. Come 10 anni di stipendio”

Andrea Pellegrino si prepara a chiudere il sipario sulla stagione più bella della sua carriera. Il tennista biscegliese, che ha toccato il best ranking di 126, ha raccolto vittorie, fiducia e consapevolezza. La sua volontà è quella di fare del 2025 un trampolino: il 2026 dovrà essere l’anno dell’assalto alla top 100. Ai microfoni di Fanpage.it Pellegrino si è raccontato a tutto tondo, tra passato, presente e futuro. Ha parlato dei ritmi forsennati del circuito, che spesso lasciano poco spazio al resto della vita, e dei sacrifici che nasconde una carriera da professionista. Ma senza nascondersi dietro alibi: con grande schiettezza ha spiegato perché, a suo avviso, il tennis – pur con mille privazioni – possa garantire soddisfazioni anche economiche, non solo ai “big”. Insomma i sacrifici legati allo status di atleta professionista, che non può durare per tutta la vita, vengono ripagate anche fuori dal campo.
Che stagione è stata questa per Andrea Pellegrino? Come stai?
"Siamo a fine anno, quindi un po’ di stanchezza c’è. Diciamo che ho bisogno di ricaricare le energie perché ho giocato tante partite, sono stato tanto tempo fuori casa, ho viaggiato molto. Mi sento un po’ scarico, ma penso che dopo Valencia (prossimo torneo, ndr) mi prenderò una pausa: mi aiuterà sicuramente a recuperare. Però, ripeto, per me questo è stato l’anno migliore della mia carriera, ho fatto risultati importanti, anche se lo considero sempre un punto di partenza per continuare a migliorarmi".
Certo, poi il tema del “si gioca troppo” è tornato d’attualità con Alcaraz che si è lamentato e Sinner che ha sottolineato la possibilità di scegliere. Che ne pensi?
"Sì, è vero, si gioca tanto. Puoi scegliere, ma relativamente. È vero che nessuno ti obbliga a giocare, se voglio posso anche fermarmi per mesi: non è che me lo dice il dottore. Però se tu non giochi, con tutti i tornei che ci sono, gli altri vanno avanti, fanno punti e ti sorpassano in classifica. Quindi di conseguenza sei costretto a giocare. Il calendario è così fitto e così lungo che ti spinge a fare più tornei di quelli che magari faresti normalmente, o che si facevano fino a qualche anno fa, quando se ne giocavano meno".
A proposito della necessità di fare punti e di scalare il ranking, come cambiano le cose se sei un tennista top? Hai più mezzi ed è tutto più facile a livello logistico e non solo?
"Ogni settimana devi comunque viaggiare per il mondo. Più mezzi? Alla fine, più sei forte, più hai disponibilità economiche. Non è tanto una questione di viaggi che ti puoi permettere, ma di avere uno staff più completo. Mi posso permettere di viaggiare con l’allenatore, con il preparatore. Se invece sei in una classifica dove non guadagni più di tanto, al torneo ci vai da solo".
Insomma i sacrifici sono tanti, anche perché puoi fare questa vita per "pochi" anni.
"A livello di sacrifici e impegni, è uno sport che – ricollegandomi a quello che dicevamo prima – giocando così tanto da gennaio fino a dicembre, praticamente 12 mesi l’anno, ti lascia pochissimo tempo libero per fare altro: per stare con la famiglia, con gli amici, con la moglie, con la fidanzata, con chi vuoi. Però alla fine è un lavoro che abbiamo scelto noi, quindi non è che uno si può lamentare più di tanto. Certo non è una carriera che dura a vita: fino a 35, 36, 37 anni giochi, poi finisce. Quindi sono anche dell’idea che, se hai la possibilità di farlo, ovviamente ti dà piacere, perché altrimenti diventa molto pesante. Ma se ti piace il tennis, ti piace la competizione e questo tipo di vita, allora ne vale la pena".
Quando magari ti affacci a questo palcoscenico devi un po' arrangiarti per viaggi e trasferte.
"Per fortuna non sono mai stato costretto a certe situazioni, non ne ho mai avuto il bisogno. Nei Futures ci sono stato poco tempo, ho sempre avuto una famiglia che mi ha sostenuto e ho iniziato a guadagnare anche abbastanza presto, quindi non ho mai dovuto fare qualcosa di estremo per potermi sostenere. Però ho visto tanti altri giocatori che hanno fatto sacrifici pesanti, anche cose un po’ strane pur di potersi permettere di viaggiare e giocare i tornei".

E magari in quelle situazioni ci si aiuta a vicenda tra giocatori, no?
"Sì, ma non credere troppo. Alla fine, gli amici veri sono pochissimi. È uno sport molto individuale, dove c’è tanta competizione. Uno si aiuta fino a un certo punto, capito? Poi puoi avere un’amicizia con una, massimo due persone. Con gli altri condividi tante cose, perché sei negli stessi tornei, ma non credere che ci si aiuti più di tanto».
Ma quindi ti chiedo in modo diretto, si può vivere di tennis? Perché in molti si lamentano sottolineando le differenze tra i primi 100-200 e il resto?
"Io ci vivo e anche abbastanza bene. Poi gli altri non lo so, perché sento tante dichiarazioni… in molti dicono “guadagnano solo i primi 100, vivono bene solo i primi 100”. Per me non è vero, perché lo vedo su di me: non sono mai stato nei primi 100 e guadagno abbastanza, vivo anche molto bene. Tanti che sono della mia classifica, più o meno, magari un pelino peggio, dicono che non riescono a mettere da parte un euro. Come in tutte le cose, c’è chi è bravo a gestirsi i soldi e chi non è capace e li perde tutti. Quello non lo so, ma per quanto mi riguarda io guadagno e vivo bene, molto bene".
Per il tuo futuro post-tennis, cosa prevedi?
"Non lo so, non ci ho mai pensato. Ovviamente non mi precludo nessuna occasione. Anche adesso cerco, oltre al tennis, di fare altre cose. Sono una persona aperta a tutto. Secondo me dipende dalle opportunità che ti capitano nella vita, ma io mi guardo sempre intorno. Ho fatto anche altre cose che non riguardano il tennis: c’è un progetto che a breve uscirà con un mio amico, ma non posso ancora dirlo. Se uno è sveglio e ha voglia di fare, le occasioni ci sono. Il tennis e il mondo in cui siamo ti danno opportunità: conosci tanta gente, giri il mondo, e se sei un minimo sveglio, le opportunità te le crei".
Quindi riconducendoci al discorso di prima, bisogna sapersi gestire anche a livello economico?
"Sì, nel sapersi gestire e nell’avere fame, la voglia di arrivare a fare certe cose. C’è chi gioca a tennis e chi pensa solo al tennis, ma conosco gente che ha perso tutti i soldi pensando solo al tennis, investendo solo lì. Alla fine ognuno con i suoi soldi fa quello che vuole".
Sono parole sincere che mi sembrano in controtendenza anche con il parere di qualche tuo collega.
"Sì, ma lo penso davvero. Sento interviste in cui dicono che solo i primi 100 possono vivere di tennis. Non è vero. Se sei 150, guadagni tanti soldi rispetto a quello che guadagna una persona media in Italia. Poi dipende da te: come li gestisci, come li spendi, come li usi. Se parli solo di tornei, magari sì. Ma io gioco anche le gare a squadre in Germania, Italia, Francia, Spagna. In più ci sono esibizioni, sponsor e altro. Fidati, guadagni tanti soldi. Se poi uno se li spreca tutti, quello è un altro problema".
Insomma il messaggio è che tu lavori tanto per sfruttare le tue doti e coltivarle ma alla fine rispetto ad altre professioni sei un privilegiato.
"Assolutamente. Non voglio parlare di cifre, ma quello che io posso guadagnare in un anno, una persona normale lo guadagna in dieci. E non sono nei primi cento del mondo: è questo che voglio dire. Poi, se per vivere di tennis si intende diventare milionario, allora no, non lo sono. Ma guadagno tanti soldi".
Faccio un po’ l’avvocato del diavolo: forse quando si dice il contrario è perché si pensa al dopo-carriera.
"Eh sì, ma guarda: se parli di un top 100 o un top 50, lì le cifre sono allucinanti. Se ti dico le cifre che posso guadagnare io, sono comunque tanti soldi. Ok, se a 37 anni vuoi andare in pensione e non fare più nulla, quello no, non si può. Quello lo possono fare in pochi".
Mi sembra che tu abbia le idee molto chiare sul presente e sul futuro, e non pensi solo al tennis.
"È vero che il tennis comporta tante spese, questo sì. Però, secondo me, dipende sempre da come ti gestisci. Posso spendere in allenatori, mental coach, preparatori, e così via, una certa cifra. C’è chi spende il doppio o il triplo perché ritiene che quello sia il modo giusto di investire nel tennis. Per me il tennis è il mio lavoro, fa parte della mia vita, ma non è tutto. Ho anche una vita al di là del tennis e cerco di investire sì, ma senza buttarmi completamente. La mia priorità è guadagnare: il tennis è anche un mezzo che mi permette di fare tante altre cose. Più che pensare al futuro, penso anche al presente: mi piace vivere in un certo modo, dedicarmi ad altre passioni e non solo al tennis".

Ti senti diverso da altri tennisti, concedendo spazio anche alle tue passioni?
"In un certo senso anche altre passioni, altre cose… Stare con gli amici, farmi una vacanza, andare a cena in un posto particolare. Può essere qualsiasi cosa, ti faccio degli esempi. C’è invece chi gioca a tennis e non gli importa di niente, pensa solo a quello. Quindi magari avere i soldi per una vacanza, per una cena o altro non interessa: per loro i soldi vanno investiti solo nel tennis".
Il tennis di oggi è molto diverso rispetto a quello di quando ti sei affacciato sui palcoscenici più prestigiosi?
"È molto più fisico. Prima era più tattico, anche perché la velocità era ridotta, quindi c’era più tempo per costruire il punto. Ora invece, con tutto che va a 200 all’ora, è più difficile giocare tatticamente: è tutto fisico, conta chi tira più forte. Un minimo di tattica c’è sempre, ma rispetto a prima molto meno. È fisicamente impossibile impostare una tattica contro avversari che colpiscono a 200 all’ora: è talmente veloce che non hai tempo di ragionare".
Quando un giocatore percepisce questo cambiamento, quanto è difficile adeguarsi?
"È stato naturale. Se ci pensi te ne accorgi, ma lì per lì non senti il cambiamento. Ti ritrovi a giocare con ragazzi sempre più giovani, alti 1,90, che servono a 220 all’ora. Quindici anni fa si serviva molto più in kick, era più lento. Ora sei in mezzo: tutto cambia così in fretta che quasi non fai in tempo a rendertene conto".
E questi ragazzi giovani che arrivano come ti sembrano? Più quadrati?
"Sì, totalmente. Oggi c’è molta più professionalità. I ragazzi di 18 anni sono molto più maturi rispetto a quando io avevo quell’età. Sono tutti concentrati solo sul tennis, tutti hanno il proprio team. Prima, quando eravamo piccoli, si usciva a cena insieme anche con altri giocatori, c’era più gruppo. Ora ognuno fa per sé, con il suo allenatore. È tutto molto più professionale".
Chiudiamo con una domanda classica, quella sugli obiettivi futuri dopo questa bella stagione.
"Chiaro e semplice: entrare nei primi 100. Non ho altri obiettivi. Poi, certo, arrivarci è difficile, ma è quello che voglio. Se ci riuscissi, sarei in pace con me stesso dal punto di vista tennistico".