Vicky Piria: “Mi sono imposta in un mondo maschilista e ostile. Ho visto il clima che c’è in Ferrari”

La prima donna italiana in GP3, oggi volto televisivo per la Formula 1 su Sky e voce competente del motorsport: Vicky Piria è un esempio di determinazione, resilienza e passione. Cresciuta a pane e motori, si è fatta strada in un ambiente spesso duro e maschilista, imponendosi con il talento e la tenacia. Dalle curve di Monte Carlo, dove ha vissuto il momento più emozionante della sua carriera, fino agli studi televisivi, dove racconta il paddock con lo sguardo unico di chi ha vissuto la pista dall’interno, Piria ha saputo reinventarsi senza mai smettere di essere pilota. In questa intervista ripercorre la sua storia, le difficoltà e i traguardi, si apre sulle sfide del motorsport moderno e regala la sua visione su Formula 1, Ferrari e il senso profondo dei sacrifici nello sport.
Vicky, ripercorrendo la tua carriera, quanto è stato difficile arrivare dove sei oggi con il percorso che hai fatto facendoti largo in un mondo, come quello del motorsport, molto spesso “maschilista”, ricco e talvolta snob?
Di momenti difficili, è chiaro, ce ne sono stati tanti. È un ambiente difficile, ostile, e sicuramente ci sono state difficoltà nell’essere donna. Ora è tutto un pochino più aperto, ma ai miei tempi era diverso: in dieci anni è cambiato tantissimo. Io ero un po’ una pecora nera. La cosa positiva è che comunque c’erano i risultati che parlavano: bisognava dimostrare che non erano frutto della fortuna, ma della capacità. Non è mai stato un ostacolo insormontabile, anche perché i risultati arrivavano.
Quali sono stati i momenti più difficili?
La vera difficoltà è che non è una carriera lineare: ci sono tanti alti, ma ancora più bassi, e spesso devi raddrizzare il tiro mentre sei in corsa. Tante cose non dipendono da te, e la prima cosa che impari è controllare solo quello che è nelle tue possibilità. L’ostacolo mentale più grande è proprio accettare che molte cose sfuggono al tuo controllo.
E quale invece il più bello, quello che ricordi con più affetto o che ti ha svoltato la carriera?
Sicuramente correre a Monte Carlo. È stato un traguardo e un sogno realizzato, la sensazione di aver fatto qualcosa di speciale e importante. Per un’italiana non era mai successo, a parte le ragazze che ci avevano provato negli anni ’70. Correre lì è stato la ciliegina sulla torta.

Sei stata la prima donna italiana a correre in GP3: quali sfide hai dovuto affrontare e quali ricordi ti porti dietro da quell’esperienza?
L’anno in GP3 è stato bellissimo ma anche molto intenso: arrivavo da due anni in una categoria propedeutica simile alla Formula 4, quindi il salto è stato grande. Una sfida enorme, difficile ma estremamente formativa: è stato decisivo per la mia crescita come pilota, professionista e atleta.
Da pilota sei passata anche a volto televisivo: quanto è diverso raccontare le corse rispetto a viverle dall’abitacolo? Anche davanti al microfono ti senti pilota e cerchi di immaginare le stesse sensazioni?
Adesso la mia carriera è molto più televisiva. Quando racconto una gara cerco sempre di far uscire la mia parte da pilota: cerco di capire l’approccio mentale dei ragazzi in pista, le pressioni, le difficoltà, le sensazioni in condizioni estreme come la pioggia o i circuiti tecnici. Sono cose che ho vissuto e che cerco di trasmettere. In fondo mi sento ancora pilota anche davanti al microfono.
In questo momento la Formula 1 sta vivendo un’epoca di grande ricchezza mediatica e non solo. Ma ti chiedo, secondo te a parità di auto, chi è dotato di maggior talento?
Il pilota più talentuoso oggi è sicuramente Max Verstappen. È completo: velocità pura in qualifica, gestione gomme in gara, visione strategica, capacità di migliorare se stesso e la macchina insieme al team. Secondo me è uno dei più grandi che io abbia mai visto correre.
Come giudichi il livello dei giovani piloti che stanno emergendo adesso, rispetto a quando tu correvi nelle categorie propedeutiche?
La nuova generazione è molto più preparata. Io ho iniziato a usare i simulatori solo negli ultimi anni della mia carriera, mentre oggi i ragazzi ci crescono. Questo dà loro una sensibilità visiva e una velocità di reazione che i vecchi piloti non avevano. In più, già dai go-kart vivono da atleti professionisti, cosa che ai miei tempi non succedeva. Oggi a otto anni fanno già la vita da atleti veri e propri.
Se dovessi scegliere un pilota del passato e uno del presente con cui avresti voluto dividere un box, chi sarebbero e perché?
Del passato sceglierei Ayrton Senna: era un pilota ed una persona estremamente emotiva e sensibile, eppure veloce e campione. Io sono molto sensibile e avrei voluto imparare da lui come trasformare questa caratteristica in un’arma vincente. Del presente, invece, sceglierei Charles Leclerc: è una persona gentile, disponibile, educata e veloce. Sarebbe un ottimo riferimento.

Qual è, secondo te, la caratteristica che distingue i campioni assoluti dai “semplici” ottimi piloti?
I campioni hanno una sicurezza interiore nelle proprie capacità, ma allo stesso tempo non smettono mai di mettersi in discussione. Non si siedono sugli allori, si migliorano sempre, hanno una velocità di pensiero e reazione superiore e, soprattutto, una capacità straordinaria di adattarsi a qualsiasi macchina e condizione.
Da italiana e da appassionata, che effetto ti fa vedere la Ferrari da vicino e quanto sarebbe importante rivederla vincente?
È sempre emozionante. Ho avuto anche la fortuna di lavorare per Ferrari come istruttrice di guida a Fiorano, dove abilitavo i clienti a ottenere la licenza per correre. Ferrari è eccellenza ed è radicata non solo in Italia ma nel cuore di tutti gli appassionati nel mondo: ovunque ci sono cappellini rossi. Dispiace vederla in difficoltà: Ferrari deve tornare a vincere, perché la sua eccellenza si misura con la vittoria.
Se fossi al muretto Ferrari oggi, quale scelta strategica o tecnica faresti per provare ad accorciare il gap con Red Bull e Mercedes?
Non ho le competenze tecniche per dare una risposta precisa, ma una cosa che noto è il clima nei team: in Ferrari c’è sempre una pressione negativa che pesa. Creare un ambiente di lavoro più armonioso aiuterebbe le persone a rendere meglio. Vincere è difficile per tutti, ma per Ferrari questa pressione è un ostacolo in più.
Spesso si parla dei sacrifici legati allo sport. Recentemente Sofia Goggia ha detto che il sacrificio non è rinuncia, ma concentrazione sul fare ciò che hai scelto, e che per forza di cose esclude altro. Tu che rapporto hai con i sacrifici?
Sono pienamente d’accordo con Sofia: ho ricondiviso le sue parole perché le ho trovate bellissime e verissime. Per me nulla è mai stato un sacrificio in senso negativo: certo, ci sono momenti di stanchezza e delusione, ma se vuoi raggiungere grandi traguardi devi essere pronto a scalare montagne. I sacrifici sono “sacri”, perché ti permettono di dare il meglio e vincere. Ci sono momenti di sconforto, ma la voglia di vincere, non solo nello sport ma nella vita, prevale sempre.