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Tutto quello che abbiamo perso con il ritiro di Valentino Rossi (e non siamo pronti a cercare)

Capacità tecniche sublimi, eccezionali doti da showman e nuovo racconto dell’essere italiano nel mondo. Tutto questo, insieme alle vittorie e allo spettacolo sportivo, è stato Valentino Rossi.
A cura di Jvan Sica
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Cosa abbiamo perso con il ritiro di Valentino Rossi al motociclismo? Di sicuro un campione e i campioni non nascono sotto i cavoli ogni attimo. Valentino Rossi ha stravolto tecnicamente il suo sport, ne ha dato una nuova dimensione anche fisica e ha interpretato i tracciati, spesso lì da decenni, a volte piegandoli alla sua volontà, alle sue traiettorie, alle sue idee. Ci sono già atleti forti e innovativi da un punto di vista tecnico come Rossi, primo fra tutti Marc Marquez, ma la distanza con il passato anche prossimo che ha creato Valentino non la vedremo per molti anni.

Poi abbiamo perso un determinato tipo di spettacolo, uno show perenne anche quando Valentino era avanti di dieci secondi all’ultimo giro. Il motociclismo è sempre stato raccontato pre-Rossi come uno sport di perfetto connubio uomo-macchina, come se il corpo dell’atleta fosse un tutt’uno con la moto sotto di lui e la migliore fusione portava alla vittoria. Si raccontano ancora oggi gli anni di Giacomo Agostini e della MV Agusta, quelli di Angel Nieto e della Derbi, quelli di Mick Doohan e della Honda. Rossi ha “umanizzato” lo sport, lo ha anche in questo caso piegato a una sua volontà facendone uno sport di lotta uomo contro uomo, corpi contro corpi. La macchina serviva a sfidarsi, non a semplicemente imporre una preminenza tutta tecnologica.

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Abbiamo ovviamente perso lo show che si espandeva oltre i confini del circuito e oltre quei 45 minuti di gara. Valentino Rossi è stato uno showman di grandissime qualità perché come i migliori non solo conosceva i tempi e i modi per fare spettacolo, ma riusciva anche a creare spettacoli molto contemporanei, diffondendo personaggi, modi di dire, tormentoni. Lo show che Valentino Rossi ha messo su in tutti i suoi anni di carriera ha caratterizzato ancora una volta l’intero suo sport, che è diventato un’altra cosa, si è diffuso in quasi ogni parte del mondo e vive di vita propria 24 ore al giorno, cosa mai successa prima di lui e che già ha subito una battuta di arresto dopo di lui.

Abbiamo perso noi italiani anche un ambasciatore dell’italianità nel mondo molto particolare, uno che ci ha saputo raccontare in un altro modo rispetto al modello classico. Vero che in lui resistevano gli elementi ormai caratterizzanti della nostra identità “da prima occhiata”, ovvero la rilassatezza d’animo, l’affabulazione, il sorriso sornione e placido, la voglia di essere il centro della festa. Ma con lui nel mondo ci hanno anche conosciuto come stakanovisti, capaci di impegnarci fino in fondo non solo per migliorare lo stato dell’arte ma per creare un futuro, tutte dimensioni che non facevano parte della nostra identità diffusa, la nostra percezione superficiale nel mondo. Lo ha ammesso lo stesso Michael Jordan, l’atleta che per antonomasia è diventato colui che ha fortissimamente voluto, ha costruito e piegato a suo favore gli eventi con il lavoro massacrante e costante. Anche per lui Valentino Rossi è stato uno dei più grandi sportivi della storia, mosso e guidato non solo dal talento, ma dal sacrificio senza pause e dalla voglia di essere ogni giorno migliore.

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La lista di quello che abbiamo perso con il ritiro di Valentino Rossi può continuare e a poco servirà per consolarci, anzi ci immalinconirà soltanto ancora di più. Il sogno di avere presto un nuovo Rossi è già vivo e sveglio, ma vedere quel giorno sarà un’avventura che non sappiamo ancora quando può cominciare.

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