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Caro John Elkann, il problema della Ferrari non è che i piloti parlano troppo: è lei che parla di F1

Dopo il GP del Brasile, John Elkann ha puntato il dito contro Leclerc e Hamilton per la stagione deludente della Ferrari. Ma le sue parole raccontano una realtà ben più grave: chi guida la scuderia non sa più cosa significhi guidare un team in Formula 1.
A cura di Michele Mazzeo
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Caro John Elkann, ho sentito le sue dichiarazioni sulla Ferrari dopo il GP del Brasile di Formula 1 2025 e devo dirle che ha ragione.  Sì, ma solo nel caso — frutto di un lapsus freudiano — in cui si fosse confuso e avesse erroneamente scambiato i piloti della scuderia di cui è presidente con se stesso.

Avesse detto "Devo concentrarmi di più sul guidare meglio (la scuderia) e parlare meno", non solo avrebbe avuto ragione, ma sarebbe anche passato per un leader umile.

E invece no. La prima volta in cui si è trovato a parlare di Formula 1 senza un discorso preparato o un comunicato, ha svelato al mondo una realtà sconcertante: l'uomo che guida la scuderia più blasonata della Formula 1 non ha la più pallida idea di cosa accada in Formula 1. E, cosa ancor più grave, nemmeno delle dinamiche basilari che muovono da sempre il motorsport a qualsiasi livello.

Alla luce di ciò, la prima cosa che posso fare è scusarmi a nome della categoria. È vero che per anni in tanti le abbiamo imputato di essere poco presente nei momenti difficili e di non metterci mai la faccia, ma oggi abbiamo capito il perché. E dunque, a nome di tutti, le chiedo scusa.

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Sarcasmo a parte, non ho mai sentito un discorso più lontano dalla realtà di quello pronunciato da lei a margine della presentazione della partnership tra Stellantis e le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026.

Da qualunque punto la si voglia vedere, addossare pubblicamente ai piloti della Ferrari — Charles Leclerc e Lewis Hamilton — la responsabilità della stagione fallimentare non è solo surreale: è fuori da qualsiasi logica.

Passi pure il gonfiare il petto per lo storico successo nel Mondiale Endurance, dimenticandosi di ringraziare chi come AF Corse e Dallara ha avuto un ruolo determinante. Passi anche l'evidenziare che la prestazione di Interlagos sia stata deludente, senza però distinguere tra colpe di squadra e limiti tecnici.

Ma, fatta eccezione per l'elogio ai meccanici ("campioni del mondo di pit stop"), il resto delle sue parole rappresenta una mistificazione della realtà così paradossale da farci chiedere: ma lei dove vive? Su Marte?

Dire "Se guardiamo i nostri ingegneri, non c'è dubbio che la macchina è migliorata" significa non avere contezza di nulla.

Che la SF-25 sia una monoposto nata male, lo sanno anche i bambini: funziona solo con un'altezza da terra da squalifica (ricorda la Cina?), non consente di portare subito le gomme in temperatura in qualifica, ha richiesto dopo sette gare un cambio radicale alla sospensione posteriore — un'operazione da disperati, non da contendenti al titolo — e, per stessa ammissione del team principal, da allora non è stata più aggiornata.

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Ma l'apoteosi della mistificazione è arrivata quando lei ha provato a scaricare la colpa sui piloti. Due dei migliori in griglia. Charles Leclerc, l'unico che lo stesso Verstappen riconosce come avversario di pari livello a parità di macchina. E Lewis Hamilton, sette volte campione del mondo e pilota più vincente della storia della Formula 1.

Leclerc ha fatto i salti mortali per portare a podio una vettura da sesto o settimo posto. Hamilton, a 40 anni, ha lasciato la Mercedes e la sua Inghilterra per scommettere su una Ferrari che non vince un titolo dal 2008. Entrambi hanno mostrato rispetto, impegno e orgoglio per il Cavallino. E lei, invece di proteggerli, li espone come capri espiatori.

La sua uscita infelice non è solo una mancanza di rispetto verso due campioni che stanno dando l'anima per la Ferrari: è il manifesto del distacco tra la dirigenza e la pista.

E allora, presidente, mi permetta di dirle che quei silenzi che tanto le abbiamo contestato — oggi — li rimpiangiamo. Perché almeno quando taceva, non danneggiava la scuderia che dice di voler difendere.

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Giornalista professionista dal 2018, per Fanpage.it mi occupo di motori, calcio e altri sport come redattore dell'Area Sport. Calabrese di nascita, romano d'adozione precedentemente ho avuto esperienze nella comunicazione istituzionale, ho fatto stage a Sky TG24 e Rai Sport e ho lavorato come freelance per Libero Quotidiano, Leggo e per diverse testate online. Ho frequentato la Scuola di Giornalismo di Salerno e ho vinto la sesta edizione del contest giornalistico di Calciomercato.com. Tante cose diverse dunque ma un unico filo conduttore: la passione per lo sport.
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