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Chi c’è dietro la Israel Premier Tech, il team di Israele che sta mettendo in crisi il ciclismo

Le manifestazioni ProPal nel corso della Vuelta a Espana hanno sconvolto il mondo del ciclismo: corridori caduti a terra, partenze ritardate e tappe neutralizzate. Il tutto per protestare contro la presenza della Israel Premier Tech, World Team UCI dietro al quale si nasconderebbe una enorme manovra di sportswashing da parte del Governo di Tel Aviv.
A cura di Alessio Pediglieri
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L'ultima clamorosa protesta dei manifestanti pro Palestina che hanno invaso la Vuelta a Espana e hanno di fatto obbligato gli organizzatori a neutralizzare il finale della 11a tappa, ha sollevato ancora una volta il polverone attorno al World Team Israel Premier Tech, la squadra di proprietà israeliano-canadese di cui a gran voce gli attivisti richiedono da sempre il ritiro ufficiale dalle corse di ciclismo. Ma fino ad oggi, l'UCI ha rifiutato di esprimersi in merito, rifugiandosi dietro al dito della "neutralità politica" e la missione dello sport di "unire i popoli, non di dividerli". E anche di fronte ai gravi fatti avvenuti in Spagna nulla sembra muoversi: gli organizzatori non hanno l'autorità di espellere il Team né possono farlo le altre squadre. Così nulla sta cambiando, con l'evidenza del pericolo oramai incontrollato nei confronti di tutti i ciclisti in gruppo e davanti ad una organizzazione che non ha alcuna intenzione di fare alcun passo indietro, dietro la quale si annida da sempre il sospetto di una enorme e macchinosa manovra di sportswashing.

Cos'è accaduto alla Vuelta: tappa neutralizzata per gli attivisti pro Palestina

Per capire la attuale, grave, situazione bisogna ripartire dalla conclusione della tappa n.11 di mercoledì 3 settembre, quando Radio Vuelta ha comunicato al gruppo la decisione di neutralizzare il finale per la protesta dei manifestanti che era oramai completamente fuori da ogni controllo: "Tempi generali conteggiati a 3 km dal traguardo per motivi di sicurezza. Non ci sarà alcun vincitore di tappa. Saranno assegnati solamente i punti per le salite e la relativa maglia ma non per la classifica a punti". In pratica, a San Mamés, Bilbao, i ciclisti sono giunti alla spicciolata al traguardo più impegnati a raggiungere i rispettivi bus e mettersi al sicuro che ad altro. Motivo? L‘ennesima scesa in strada di attivisti con slogan e bandiere filo palestinesi per protestare della presenza del World Team Israel Premier Tech. Non era la prima volta che questi disordini si manifestavano alla Vuelta, e probabilmente non saranno gli ultimi.

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La Vuelta spinge per l'esclusione della Israel: "Crea rischi per tutti i ciclisti"

"Non possiamo richiedere il ritiro di Israel dalla corsa" ha spiegato sconsolato Kiko García, direttore tecnico della Vuelta, "anche se avevamo fatto presente all'UCI prima del via dei problemi che avrebbe creato la presenza del team e sono rimasto fino a notte fonda a discutere con i responsabili della squadra, spiegando che vi fosse una unica soluzione". Garcìa non la pronuncia ma la parola esatta è "ritiro". "Purtroppo" ha continuato ad AS, "siamo vincolati dai regolamenti, ma non accettiamo la scelta di Israel che deve rendersi conto del pericolo che sta causando per l'incolumità di tutti i ciclisti".

La risposta della Israel Premier Tech: nessun ritiro dalle corse

La risposta della Israel Premier Tech non si è fatta attendere con un comunicato che è apparso una sentenza senza appello: nessun ritiro, nessun dietrofront, rimarcando  i principi di lealtà, e di "rispetto nei confronti di tutti i manifestanti, finché non mettono in pericolo i ciclisti". Per poi stigmatizzare quanto accaduto a Bilbao: "Situazione che è diventata controproducente anche alla protesta stessa, privando i tifosi di un evento sportivo di alto livello".

Perché gli attivisti pro Palestina protestano contro la Israel: manovra di sportswashing governativa

Dunque, la parola "ritiro" non rientra nel vocabolario della Israel Premier Tech, potente Team ciclistico in cui tra gli "sponsor" c'è anche lo Stato israeliano anche se ufficialmente solo sul fronte dell'ente turistico. Ma dietro ai vari sponsor, tra cui spicca anche l'italianissima Vini Fantini, l'evidenza è un'altra se si analizza l'organigramma societario che porterebbe ad una evidente manovra di sportswashing, pratica tramite la quale ci si avvale dello sport per recuperare reputazione, offuscare altre situazioni, o come semplice propaganda. E di fronte alla situazione oramai cristallizzata da anni della guerra tra Palestina e Israele, il cerchio si chiude.

Di chi è la Israel Premier Tech: Ron Baron e Sylvan Adams, gli affari e l'allineamento con Tel Aviv

Ancor più se ci si ritrova a capo della proprietà della Israel Premier Tech, attuale World Team UCI fondato nel 2014, Ron Baron e Ran Margaliot, con base in Israele e con attuali ramificazioni nordamericane grazie alla presenza di Sylvan Adams, filantropo ed imprenditore israeliano-canadese. Ron Baron è un conosciuto uomo d'affari israeliano da sempre allineato al pensiero politico di Tel Aviv, come Adams, grazie al cui supporto economico riesce dal 2020 a fare il grande salto di qualità nel ciclismo mondiale. Ingaggiando nel tempo fior di corridori, dai nomi top come Chris Froome, Derek Gee, Michael Woods, il nostro Marco Frigo, e iniziando a imporsi con vittorie nella Classiche e nelle tappe dei grandi giri.

Isaac Herzog, presidente di Israele: "Con questa squadra stiamo mostrando il volto bello del Paese"

I fili e i lacci con il Governo israeliano, pur non ufficiali, sono molteplici quanto evidenti. Isaac Herzog, attuale presidente di Israele in carica, in occasione di una presentazione ufficiale della maglietta aveva evidenziato l'impegno di Israele e l'attenzione verso il team Premier Tech senza mezzi termini: "Con questa presenza nello sport si sta mostrando al mondo il volto bello di Israele dentro e fuori dalla pista, e lo si sta facendo in un momento critico". Parole che si incastonano perfettamente in una visione sommersa di puro sportswashing, sia con altre dichiarazioni di Ron Baron ("I nostri atleti sul gradino più alto del podio sono la migliore risposta possibile all’agenda portata avanti dai boicottatori di Israele, siamo qui a raccontare la storia di cui di solito non si sente parlare") sia dello stesso Sylvian Adams ("Siamo un team multiculturale e multireligioso che promuove il pluralismo e la diversità. Offriamo una necessaria esposizione positiva per la nostra nazione durante questo momento difficile").

Le minacce di morte alla squadra e la frustrazione di Vingegaard: "Cosa vogliono da noi?"

La situazione esplosiva alla Vuelta a Espagna è quasi interamente fuori controllo. La stessa Israel Premier Tech denuncia continua minacce di morte: "Stiamo ricevendo insulti, attacchi verbali di ogni tipo" ha spiegato il ds Oscar Gueriero. "È dura per noi, ma siamo una squadra professionistica e non possiamo dire di andarcene, perché la stessa cosa potrebbe succederci in un'altra corsa. Ma abbiamo paura, non sappiamo cosa possa accadere". Ansia, preoccupazione e frustrazione anche nel seno del gruppo con Jonas Vingegaard che se ne fa portabandiera: "Metterci in pericolo non aiuta la loro causa, noi ciclisti cosa possiamo fare, cosa vogliono da noi? Spero che possiamo avere nuovi vincitori di tappa… ma non si può più avere certezze al momento".  

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