Regina Baresi spiega la differenza tra calcio femminile e maschile: “Già con un 15enne è impossibile”

Dire Regina Baresi significa dire Inter declinata al femminile: la figlia di Beppe (e nipote di Franco) è stata capitana storica del club nerazzurro, con cui ha giocato dal 2009 al 2021 contribuendo da pilastro alla promozione in Serie A del 2019, quando la squadra milanese era appena diventata la sezione femminile dell'FC Inter dopo che quest'ultima aveva acquisito il titolo sportivo dall'Inter Milano. Ritiratasi al termine della stagione 2020/21, poco prima di compiere 30 anni, Regina oggi continua a seguire il calcio come opinionista, oltre ad essere seguitissima sui social. Intervenuta al podcast ‘Centrocampo', Baresi ha raccontato come sia stata quasi forzata a lasciare il calcio a causa del trattamento ricevuto – e ritenuto ingiusto – dall'allora tecnico nerazzurro. L'ex attaccante ha anche spiegato chiaramente quale sia la differenza tra mondo maschile e femminile del pallone.
Regina Baresi: "Nel campo a 11 anche se giochi contro un ragazzino di 15 anni diventa impossibile"
"La differenza principale tra uomo e donna è il fisico, cioè la forza, la velocità – ha spiegato Regina Baresi, oggi 34enne – Quindi se tu giochi magari a calcio a 5 riesci a cavartela, perché gli spazi sono più piccoli, quindi conta molto più la tecnica, cioè non hai lo spazio del campo a 11, dove un avversario ti può andare via in velocità, in progressione, e non lo prendi più. Nel calcio a 5, nel campo piccolo, ce la fai, ma nel campo a 11 anche se giochi contro un ragazzino di 15 anni che è già 1,80 diventa impossibile. Ma non è tanto una questione tecnica, è proprio una questione di fisico, perché se lui si allunga la palla e corre, non lo prendi più".
La calciatrice milanese ha poi dato conto del motivo del suo ritiro avvenuto prima dei 30 anni, attribuendone parte a chi sedeva sulla panchina dell'Inter: "In totale ho fatto 17 anni con l'Inter, a 12 ho iniziato. Ho scelto di smettere così presto perché avevo tante alternative – ha premesso Regina – nel senso che tante ragazze magari continuano a giocare fino a 35-40 anni perché non sanno cosa fare dopo. Io avevo già tante altre opportunità e diventava pesante dover dire sempre ‘no, non posso perché gioco', ‘no, non posso perché sono condizionata da questo', ‘no, non posso perché nel weekend ho la partita'. Quindi, avendo magari varie opportunità in TV con dei programmi o delle cose con sponsor, che poi è un po' quello che faccio oggi tra social e TV, avevo paura che continuando a dire no, sarebbe passato il treno, essendo quella la cosa che volevo fare dopo il calcio e quindi ho scelto di smettere".

Il ritiro di Regina Baresi prima dei 30 anni: "A livello umano non c'era dialogo con l'allenatore"
C'era poi il rapporto difficile col tecnico Attilio Sorbi: "Arrivavo anche da due anni abbastanza difficili con un allenatore con cui non era andata benissimo e quindi non mi è neanche pesato smettere e cambiare vita, perché tutto quello che ho fatto dopo mi è piaciuto farlo – ha continuato la figlia di Beppe Baresi, che la scorsa estate si è sottoposta a una piccola operazione al cuore perfettamente riuscita – Secondo me gestire uno spogliatoio di donne è molto importante, e lui aveva tanta difficoltà in questo, era bravissimo sotto il punto di vista tecnico, sotto il punto di vista teorico, quando spiegava le cose, ma a livello umano non c'era mai dialogo, non c'era mai un confronto, non c'era la possibilità di parlare. Per dire, io arrivavo da una stagione in Serie B dove ero stata titolare tutte le partite, mai sostituita, sempre capitano, arriva lui e nelle prime cinque partite di Serie A io non faccio un minuto. Non mi ha chiesto una volta come stai…".

Da lì, Regina Baresi ha messo assieme tutte le cose, la delusione e i progetti nel cassetto, e ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo: "Non perché sono io, con qualsiasi altra ragazza secondo me avrebbe dovuto farlo, quando sai la storia di una ragazza, sai il percorso che ha fatto, sai che è capitano della squadra, perché comunque a inizio anno mi hai fatto capitano della squadra, almeno un chiedere come stai, secondo me era una cosa umana da fare, invece ho trovato totale indifferenza. Sono stati due anni con lui complicati a livello proprio anche umano e di gestire le emozioni, di trovare sempre una motivazione per continuare ad allenarsi al massimo nonostante le varie difficoltà. E quindi dico, se magari avessi avuto un altro allenatore o un'altra allenatrice che mi avesse dato stimoli diversi, magari dopo quei due anni non avrei smesso, perché avrei avuto ancora altissima la voglia, altissima la determinazione, invece è come se lui mi avesse fatto scendere un po' tutto e quindi mi è venuto molto facile dire ‘Ok, smetto e faccio il resto che in questo momento mi dà molte soddisfazioni‘".