Raffaele Ametrano: “I miei primi acquisti con i soldi da calciatore: vestiti invernali e una casa”

Da centrocampista instancabile a guida per le nuove generazioni. Raffaele Ametrano ha fatto un lungo viaggio nel calcio italiano tra Serie A, B e C, vestendo maglie come Udinese, Juventus, Napoli, Genoa, Cagliari, Messina e Potenza: dopo il ritiro nel 2010 con la Juve Stabia, ha scelto di restare nel calcio come allenatore e vice, lavorando nei settori giovanili dell’Udinese e in club come Padova e Chions. Oggi è collaboratore tecnico dell'Avellino, in Serie B, e a Fanpage.it ha raccontato il suo percorso calcistico, il passaggio al ruolo di allenatore e ha parlato delle ambizioni degli irpini dopo il ritorno in cadetteria.
In pochi lo ricordano ma Ametrano faceva parte dell’Italia Under 21 di Cesare Maldini che vinse il titolo europeo nel 1996 ai rigori contro la Spagna e fece parte della spedizione olimpica ad Atlanta 1996: "Me la ricordo benissimo quella finale. Ho ancora negli occhi quella sera a Barcellona, un’emozione unica e indescrivibile".

Cosa fa oggi Raffaele Ametrano?
"Oggi sono collaboratore tecnico ad Avellino e lavoro a stretto contatto con Raffaele Biancolino e Vincenzo Riccio, con cui ho un legame fortissimo da quando abbiamo giocato insieme“.
Che campionato può fare l’Avellino e che Serie B ha ritrovato?
"La Serie B è storicamente difficile, ma quest'anno è "ancora più livellata verso l'alto" e ricca di qualità. È estremamente competitiva. La classifica sarà molto serrata, con pochi punti che separeranno chi andrà ai playoff con chi farà i playout. Ci sarà da lavorare e sudare. Per valutare le ambizioni dell'Avellino ci sarà da attendere qualche partita, per capire la sua vera consistenza della squadra e in che modo si è calata nella categoria”.
Quando Ametrano ha capito che dopo la carriera da calciatore la strada giusta era quella da allenatore: c’è stato un episodio particolare che ha fatto scattare la scintilla?
"Inizialmente ero attratto dall'idea di allenare le squadre giovanili per trasmettere la mia esperienza a ragazzi con il sogno di diventare calciatori. Ho avuto l'opportunità di allenare per quattro anni nel settore giovanile dell'Udinese, un'esperienza che porto nel cuore ‘con tanto amore'. Successivamente, ha sentito la mancanza dell'ambiente del calcio professionistico, con le sue pressioni, il pubblico e l'atmosfera dello stadio, così ho iniziato un percorso con le prime squadre".

Guardando i ragazzi che allena oggi, quali valori cerca di trasmettere loro?
"Il valore principale che cerco di trasmettere ai giovani calciatori è la passione infinita e la dedizione totale allo sport, consapevole delle maggiori distrazioni odierne rispetto ai suoi tempi. Ho avuto una enorme soddisfazione nel vedere alcuni ragazzi che avevo nelle giovanili raggiungere il professionismo, come Martin Palumbo che ho ritrovato proprio all'Avellino".
Dal punto di vista tattico e tecnico, c’è un allenatore che ha segnato il suo modo di leggere le partite?
"Ho avuto la fortuna di essere allenato da grandi nomi come Zaccheroni, Galeone, Spalletti, Lippi, e Cesare Maldini, ognuno dei quali gli ha lasciato qualcosa, sia sul campo che nella gestione del gruppo".
Ametrano è nato a Castellammare di Stabia ed è cresciuto nelle giovanili del Napoli: cosa ha rappresentato per lei vestire la maglia azzurra?
"Dopo aver fatto tutta la trafila giovanile nel Napoli, tornare in prima squadra e giocare al San Paolo fu un sogno che si avverava. Il mio unico rammarico è aver giocato in un periodo difficile per la società partenopea".

Mi corregga se sbaglio, ma è vero che lei era a bordo campo quando il Napoli vinse il primo Scudetto?
"È vero. Ero a bordo campo il 10 maggio 1987, testimone della storica vittoria del primo Scudetto del Napoli. Un momento di incredibile festa e un'atmosfera indimenticabile".
Nel ’96 è stato campione d’Europa Under 21 con la Nazionale di Cesare Maldini. Che emozioni le tornano in mente ripensando a quella finale epica a Barcellona?
"Me la ricordo benissimo quella finale. Ho ancora negli occhi quella sera a Barcellona, un’emozione unica e indescrivibile. La squadra era rimaneggiata, perché avevamo alcuni infortuni in attacco e Maldini chiamò Totti: dopo aver vinto la semifinale con una Francia fortissima ci ritrovammo a giocare la finale contro i padroni di casa e tutti ci davano per sfavoriti. Venne espulso Amoruso nel primo tempo e subito si mise in salita, poi venni cacciato anche io nel primo tempo supplementare ma in 9 compimmo un vero "miracolo sportivo" frutto di due anni di grande impegno. Era una squadra forte, se pensi solo che in difesa c’erano Cannavaro, Nesta, Panucci, Fresi e Galante. In porta c'era Pagotto, che poi andò al Milan. Ricordo anche che quella partita ebbe un clamoroso successo di pubblico, con 11 milioni di spettatori in TV".
L’anno dopo Ametrano passò alla Juventus di Lippi, dove ha condiviso lo spogliatoio con grandi campioni e ha vinto la Coppa Intercontinentale: che ambiente era quello di Torino per uno che aveva vissuto sempre e solo la provincia?
"Ho giocato un solo anno a Torino (1996-1997) e ho trovato un ambiente di "iperprofessionalità" e duro lavoro. I giocatori di quella Juventus erano campioni ‘nella testa’, con grande umiltà e volontà ma sempre focalizzati sugli obiettivi da raggiungere".

Ha vestito tante maglie e giocato centinaia di partite: c'è una gara, o un gol, che considera il momento più emozionante della sua carriera?
"Ho vissuto tante annate belle ma se ti devo dire un momento non posso che indicare il primo gol in Serie A: fu il coronamento di tutti i sacrifici fatti fin da bambino".
Quale persona ha maggiormente aiutato Raffele Ametrano a credere che poteva entrare nel mondo del calcio ‘vero’?
"Ne devo indicare due. Sicuramente Pasquale Basentini e Pasquale Casale, presidente e allenatore dell'Ischia, che hanno creduto in me quando il Napoli sembrava avermi messo da parte e mi hanno dato l'opportunità di farmi notare nel calcio professionistico: dopo l’anno con l’Ischia arrivò la chiamata e il salto all'Udinese".

Il calcio degli anni ’90 e 2000 aveva un ritmo e un’atmosfera diversa: quali differenze nota oggi rispetto a quel periodo?
"Negli anni '90, la Serie A era il campionato più prestigioso del mondo, paragonabile all'attuale Premier League. Tutti i campioni giocavano in Italia, rendendo il livello altissimo in quasi ogni squadra. Oggi non è più la "prima scelta" per i grandi campioni, che spesso arrivano a fine carriera, e questo ha abbassato il livello generale del torneo".
Si parla spesso dei contratti dei calciatori di oggi: lei si ricorda come spese il suo primo stipendio?
"Il primo vero stipendio lo presi all’Udinese, perché a Ischia era più un rimborso spese, e ho usato i primi soldi veri per comprare vestiti invernali: non avevo mai vissuto al Nord e non ero abituato a certe temperature e abbigliamento. Poi ho comprato casa ai miei genitori perché eravamo in affitto e quindi ho provato a ripagare un po' tutti i sacrifici che avevano fatto per comunque per tirarmi su. Mio padre lavorava in cantieri navali e vivevamo di stipendio, eravamo in affitto, e appena ho potuto ho cercato di ripagare i loro sacrifici. Quella è stata una bella soddisfazione per me".