Matteo Lovisa, il direttore sportivo più giovane d’Italia: “Contano le idee, non la carta d’identità”

A Castellammare di Stabia, il calcio è passione, ma anche sfida quotidiana. E a guidare il progetto della Juve Stabia c’è Matteo Lovisa, il più giovane direttore sportivo d’Italia (29 anni), che con entusiasmo e determinazione sta dimostrando come età e talento possano fare squadra.
Tra gestione della rosa, mercato e valorizzazione dei giovani, Lovisa racconta a Fanpage.it il suo mondo con la sicurezza di chi, nonostante i pochi anni, ha già lasciato un segno nel calcio professionistico, portando idee fresche in una piazza che sa essere esigente e ambiziosa.
Direttore, partiamo dal presente: la Juve Stabia ha iniziato bene la stagione, dopo il play-off dello scorso anno, nonostante i tanti cambiamenti. Se lo aspettava?
"Abbiamo rinnovato tanto, a partire dalla guida tecnica. Cambiare più di metà squadra e staff non è mai semplice, ma il gruppo ha risposto con la mentalità giusta. Il campionato di Serie B è molto equilibrato: due vittorie ti proiettano in alto, due sconfitte ti fanno scivolare. L’obiettivo è restare costanti e continuare a crescere settimana dopo settimana".
La società ha attraversato momenti delicati fuori dal campo (club in amministrazione controllata a causa di presunte infiltrazioni mafiose). Come li avete vissuti nello spogliatoio?
"Con grande serenità. Sono dinamiche che non devono toccare la squadra. All’inizio magari c’è un po’ di rumore mediatico, ma dentro di noi abbiamo mantenuto concentrazione e compattezza".

Lei è arrivato a Castellammare nel 2023 e ha già riscritto la storia recente del club. Qual è la chiave del successo?
"La passione. È quella che tiene uniti tutti: me, l’allenatore, i ragazzi. Ognuno di noi ha fame di emergere, e la Juve Stabia rappresenta uno step importante per le nostre carriere. Ci mettiamo tutto, sapendo che i risultati si costruiscono con il lavoro quotidiano. In Serie B basta poco per passare dall’essere fenomeni all’essere ‘immaturi'. L’equilibrio è tutto".
Quando si è reso conto che fare il direttore sportivo sarebbe stata la tua strada: c’è stato un momento ‘rivelazione’?
"Da sempre. Il calcio è la mia vita e ho capito presto che il mio modo per viverlo era costruire squadre, equilibrare la parte tecnica con quella economica. Non sono mai stato un talento in campo, ma mi è sempre piaciuto mettere insieme i pezzi fuori dal campo. Oggi sono orgoglioso di essere arrivato a questi livelli, ma so che devo migliorare ogni giorno".
È uno dei più giovani nel ruolo in Italia: in che modo pensa che l’età possa essere un vantaggio, e in che situazioni invece rappresenta una sfida?
"Per me solo un vantaggio. Magari per altri può sembrare una sfida, ma io vedo solo opportunità. Ho il tempo e l’energia per crescere ancora tanto. Il calcio cambia in fretta: serve lucidità, aggiornamento continuo e voglia di adattarsi".
Quali criteri utilizza nella fase iniziale della valutazione di un giocatore (statistiche, video, scouting dal vivo)? Come bilancia tutto?
"È un lavoro di squadra. Usiamo scouting video e osservazione dal vivo: la sensazione che ti dà un giocatore sul campo è insostituibile. Ma non conta solo la tecnica: guardo anche l’aspetto umano, la mentalità, la famiglia alle spalle. Spesso si sottovaluta questo aspetto, ma per me è determinante. Oggi un direttore e un allenatore devono anche saper fare un po’ gli psicologi".

La Juve Stabia è un club con risorse limitate. Come si costruisce una squadra competitiva in queste condizioni?
"Serve equilibrio. Un allenatore adatto al progetto e giocatori funzionali alle sue idee, ma anche sostenibilità economica. Abbiamo creato valore reinvestendo parte delle plusvalenze. La cessione di Adorante, per esempio, è stata un passaggio chiave: ci ha permesso di cambiare mentalità. Oggi il club sa valorizzare e rivendere, costruendo il proprio futuro".
Qual è stato il trasferimento di cui è più orgoglioso fino ad ora, per impatto sportivo ma anche economico o di progetto?
"Quella di Adorante. È stata la plusvalenza più alta della storia della Juve Stabia e ci ha dato la possibilità di impostare un modello virtuoso. Ma in generale ogni giocatore seguito per anni e poi preso al momento giusto mi dà soddisfazione. Penso, ad esempio, a Confente: lo volevo già l’anno scorso, ma è arrivato quest'anno, vuol dire che questo era il momento ideale".
Lovisa è stato uno degli artefici del Pordenone che ha scalato il calcio italiano fino a diventare una realtà conosciuta. Che esperienza è stata?
"Fondamentale. Ho imparato tantissimo, anche grazie a mio padre, che è un imprenditore. Gestire un club è diverso dal fare il direttore sportivo, ma quell’esperienza mi ha formato su entrambi i fronti: tecnico e gestionale. Abbiamo costruito un modello sostenibile e portato in alto ragazzi come Pobega, Cambiaghi e Di Gregorio… oggi tutti in Serie A".

Tornando all’attualità: come vive il mercato di gennaio o la chiusura del mercato estivo con i tornei iniziati?
"È un periodo complicato, forse troppo lungo. Le squadre che hanno giocatori in forma se li tengono, e i margini di manovra sono stretti. L’obiettivo è muoverci il meno possibile: significa che la squadra funziona. Se potessi decidere, chiuderei il mercato estivo qualche giorno prima dell’inizio del campionato: aiuterebbe tutti, club e giocatori".
Parliamo di giovani: lei è tra i più giovani dirigenti in Italia, e la Juve Stabia punta molto sui giovani anche in campo. Come si riesce a creare una rosa che mixa bene giocatori esperti e ragazzi? È più una sfida o una necessità?
"Sì, ma è una sfida che mi piace. Castellammare è una piazza calda, pretende tanto. I ragazzi devono capire che l’errore fa parte del percorso. In Italia ai giovani si perdona poco: lo vediamo anche tra i dirigenti. Se un trentenne sbaglia, si dice ‘non ha esperienza'; mentre se uno esperto sbaglia, si dice ‘succede'. Serve cambiare mentalità: conta la competenza, non la carta d’identità".
Chiudiamo con una visione personale: dove si vede tra qualche anno?
"Non guardo troppo avanti. Penso a lavorare bene ogni giorno. Voglio crescere, migliorarmi, meritare ogni passo. Ho la fortuna di condividere questo percorso con un allenatore come Abate, anche lui giovane e ambizioso. L’obiettivo comune è far crescere la Juve Stabia e consolidarla. Il resto arriverà, se continueremo a farci riconoscere per il lavoro, non per le parole".