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Sinisa Mihajlovic morto a 53 anni di leucemia

Mancini rivive l’ultimo incontro con Mihajlovic: “Martedì mi ha parlato, non solo con gli occhi”

Mancini racconta l’ultimo incontro e non può fare a meno di dimenticare una cosa che ha detto a se stesso, è la frase che ancora gli rimbomba in testa. In una lettera racconta “ventotto anni di calcio e vita”.
A cura di Maurizio De Santis
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Sinisa Mihajlovic abbraccia Roberto Mancini. Il ct della Nazionale gli ha dedicato un ricordo commosso in una lettera.
Sinisa Mihajlovic abbraccia Roberto Mancini. Il ct della Nazionale gli ha dedicato un ricordo commosso in una lettera.
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E adesso? Come si colmerà quella sensazione di vuoto quando anche il dolore svanirà? Da dove si ricomincia? Chi conosce quanto possa essere spietato lo stillicidio di una malattia, e con esso l'angoscia dolorosa che si trasmette alle persone intorno, sa cosa stanno provando in questo momento familiari, amici, gli affetti più cari per la morte di Sinisa Mihajlovic.

La leucemia mieloide acuta s'è portata via l'ex calciatore e allenatore deceduto venerdì a 53 anni. Ha fatto di tutto per non rinunciare a vivere: mantenne la promessa data ai giocatori del Bologna e si presentò in panchina anche se visibilmente provato dalle terapie; ha continuato a dirigere gli allenamenti dalla sua stanza d'ospedale, chiedendo che con una telecamera potesse seguire il lavoro dei "suoi ragazzi"; ha lasciato la squadra solo perché il club così ha voluto e quello strappo fu durissimo per tutti ("non mi dimetto, cacciatemi", disse in un incontro con i vertici della società che gli chiedevano di passare la mano).

La coppia di allenatori sulla panchina dell'Inter.
La coppia di allenatori sulla panchina dell'Inter.

La patologia, le terapie e le ricadute sul suo fisico, la famiglia e gli impegni di lavoro: Sinisa aveva ancora tante cose da fare, molte altre che sentiva di dove mettere a posto. Alle persone che hanno parlato con lui nell'ultimo periodo aveva mostrato la sua finestra spalancata sul futuro. Di carattere era così: non avrebbe mai mollato, era il suo modo di restare attaccato alla vita. Lo ha fatto fino a quando ne ha avuto le forze.

Roberto Mancini era legato a lui da un'amicizia nata sul campo e poi consolidatasi nel tempo anche se le rispettive carriere hanno preso altre strade. Le maglie di Sampdoria e Lazio, la panchina dell'Inter condivisa che segnò anche l'inizio dell'esperienza di allenatore di Mihajlovic che "studiava da grande". Il ct della Nazionale ha affidato le sue emozioni a una lettera pubblicata sulla Gazzetta dello Sport, alcuni stralci ne raccolgono lo strazio e la tristezza, scandiscono quel vecchio adagio secondo cui l'assenza è presenza.

Mancini, Mihajlovic e l'ex presidente dell'Inter. Moratti.
Mancini, Mihajlovic e l'ex presidente dell'Inter. Moratti.

Da ieri non ho più un fratello. E anche se di questo legame di sangue a volte ormai si abusa, nel parlare di amicizie, non mi sento di esagerare nel definirlo così: per me Sinisa lo era davvero, perché è stata la vita a renderci tali. Prima il calcio, e poi la vita. Questo è un giorno che non avrei mai voluto vivere. Penso solo a quanto sia ingiusto che una malattia così atroce si sia portata via un ragazzo di 53 anni, un uomo buono, una persona perbene.

C'è un passaggio in particolare che sottolinea tutto lo smarrimento che lascia addosso ritrovarsi l'uno di fronte all'altro ma su piani differenti: chi ha ancora una vita davanti a sé, chi invece la stringe ancora tra le mani ma sente che, prima o poi, gli sfuggirà. Mancini racconta l'ultimo incontro e non può fare a meno di dimenticare una cosa che ha detto a se stesso, è la frase che ancora gli rimbomba in testa.

È difficile trovare altre parole quando è passato così poco tempo dall’attimo in cui mi sono detto: Roberto, stavolta davvero non potrai più vederlo. Ieri non c’era già più: l’ultima volta che mi ha parlato non solo con quegli occhi che sapevano dire più delle parole, occhi che a volte ti costringevano ad abbassare i tuoi, è stato martedì mattina. Me la porterò dentro per sempre quella chiacchierata: cose nostre come ce ne siamo dette tante, in quasi trent’anni.

Mancini discute con Mihajlovic ai tempi dell'esperienza con la Lazio.
Mancini discute con Mihajlovic ai tempi dell'esperienza con la Lazio.

Ventotto anni di calcio e vita. È in questo solco che il rapporto tra Mancini e Mihajlovic è germogliato fino a diventare una quercia: nello spogliatoio è nato tutto, fuori da lì nulla è cambiato. Certi sentimenti si evolvono ma non si disperdono nemmeno quando uno dei due viene a mancare.

Ci siamo conosciuti fino a diventare spalla uno per l’altro, quando per l’uno o per l’altro diventava necessario.

L'uomo e la sua corazza. Il tecnico dell'Italia descrive entrambe quando spiega cosa intende per guerriero, cosa volesse dire per Sinisa interpretare il suo ruolo di sportivo e di allenatore, come riuscisse a coniugare fortuna (intesa come eventi della sorte) e determinazione, a lottare sempre con coraggio, a non cercare alibi.

Sinisa era un guerriero, non per modo di dire: la sua guerra era dimostrarsi più forte di chi lo sfidava. Per se stesso, non per far sentire deboli gli altri. Lo faceva con gli avversari, lo ha fatto con la leucemia. Per lui era sempre troppo presto per smettere di combattere e non era mai tardi per incoraggiare qualcuno, un amico, un compagno o un suo giocatore, a non mollare.

E come si fa, lo ha fatto vedere da quando si è ammalato anche a chi non lo aveva mai conosciuto, a chi ne aveva solo sentito parlare, a chi non sapeva neanche chi era ma aveva voluto scoprirlo. Perché Sinisa ha lottato fino all’ultimo istante come un leone, esattamente come era abituato a fare in campo.

Per sempre al mio fianco. Mancini chiude il lungo ricordo di Mihajlovic esattamente come lui gli avrebbe chiesto: non abbatterti e guarda avanti anche se fa male. La lezione che gli ha lasciato è stata questa: mostrare le proprie debolezze – il tecnico del Bologna lo fece nella conferenza del 2019, quando annunciò ufficialmente la sua malattia – è una forza, non indice di fragilità.

È proprio così che Sinisa resterà per sempre al mio fianco, anche se non c’è più, come ha fatto a Genova, a Roma, a Milano, e successivamente anche quando abbiamo preso strade diverse – ha aggiunto Mancini -. Per questo, ora che l’ho salutato per sempre, mi piace pensare che in realtà non è vero che non ho più un fratello: semplicemente, è andato da un’altra parte, ovunque sia, e da lì continuerà a farmi sentire la sua forza come faceva con quelle mani d’acciaio.

E a darmi assist come quel giorno a Parma: da anni si parla di quel mio gol di tacco, ma il corner che aveva battuto Sinisa era disegnato, e in campo ci conoscevamo ormai così bene che sapevo perfettamente dove e come quel cross sarebbe arrivato. Quel corner era un regalo per sempre, perché mi ispirò il gol più bello che abbia mai segnato nella mia vita. Anche lui ne ha segnati di bellissimi, mai quanto l’ultimo: l’energia che ci ha trasmesso in questi tre anni, l’amore per la vita al quale ci ha educato. Per questo lo sento ancora al mio fianco, e lì sarà per sempre.

Domenica ci sarà la camera ardente in Campidoglio. Lunedì 19 dicembre saranno celebrati i funerali nella basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma. L'ultimo saluto a Sinisa che, per dirla alla Mancini, non se n'è andato per sempre ma solo da un'altra parte.

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