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Gianfelice Facchetti: “Marotta League e Calciopoli, c’è chi ha provato a togliere meriti all’Inter”

Gianfelice Facchetti a Fanpage.it ha portato il suo punto di vista sullo Scudetto della seconda stella vinto dall’Inter in casa del Milan, con un’analisi tra il gioco esaltante della squadra di Inzaghi e uno sguardo al futuro societario, contestualizzando anche le polemiche sulla Marotta League e su Calciopoli.
A cura di Vito Lamorte
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"Era una cosa che da tifosi tutti abbiamo sognato". Gianfelice Facchetti è felice per lo Scudetto numero 20 conquistato dalla sua Inter nel derby contro il Milan. Attore, scrittore e regista teatrale cresciuto con i colori nerazzurri in casa perché il padre Giacinto è stato un vero e proprio simbolo della squadra meneghina in campo e fuori. Valori e tradizioni tramandate di padre in figlio che si riconoscono nelle sue parole, sempre attente e mai banali.

Gianfelice Facchetti pochi giorni fa è uscito in libreria con un saggio antologico dal titolo "Capitani", edito da Piemme, nel quale partendo dal padre Giacinto, capitano dell'Inter e della Nazionale, traccia il profilo di quei campioni che sono diventati miti, esempi e bandiere del nostro calcio come Riva, Baresi, Baggio, Di Bartolomei, Antognoni e tanti altri.

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Adesso, però, è il momento della festa: "Non bisognava perdere la lucidità perché ci sarebbero state anche altre occasioni ma i ragazzi sono arrivati concentrati all’appuntamento. La degna chiusura di un trionfo".

A Fanpage.it Gianfelice Facchetti ha portato il suo punto di vista sullo Scudetto della seconda stella vinto dall'Inter in casa del Milan, con un'analisi tra il gioco esaltante della squadra di Inzaghi e uno sguardo al futuro societario, contestualizzando anche le polemiche sulla Marotta League e su Calciopoli.

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Gianfelice, cosa vuol dire per un tifoso interista poter vincere lo Scudetto della seconda stella nel derby?
"Ovviamente era una cosa che da tifosi tutti abbiamo sognato. Non era facile, si poteva cadere nel tranello di farne un'ossessione, perché con una sconfitta tutti avrebbero provato a sminuire il percorso della squadra che, invece, è stato molto lineare e continuo. È stata davvero una stagione incredibile e farsi prendere dalla frenesia era un errore che poteva capitare. Ognuno ha le proprie motivazioni, lo avevamo visto anche col Cagliari. Ma in un derby prestigioso come quello di Milano, le motivazioni non mancano a nessuno. Nemmeno al Milan. Non bisognava perdere la lucidità perché ci sarebbero state anche altre occasioni ma i ragazzi sono arrivati concentrati all’appuntamento. La degna chiusura di un trionfo".

Si è parlato tutto l’anno della Marotta League a fronte di una squadra fortissima: da interista dà più fastidio o godimento?
"Mi scivola tutto addosso, mi sono veramente goduto la mia squadra e devo dire che ho visto tante prestazioni di alto livello. Una crescita continua figlia del lavoro degli ultimi tre anni, perché l'Inter ha fatto un percorso davvero notevole. Io c'ero l'ultima partita dell'anno in cui lo Scudetto vinse il Milan e ricordo le lacrime di Lautaro, di Dimarco, di tanti giocatori e la delusione di un popolo intero che si strinse intorno alla squadra. Da lì i ragazzi sono ripartiti con ancora maggior determinazione e l'anno scorso in Champions League hanno fatto qualcosa di incredibile, nonostante poi sia sfumata la vittoria in finale: la squadra ha tradotto quella delusione in qualcosa di costruttivo e quest'anno lo ha fatto con una con una dichiarazione di intenti molto chiara in campionato da subito, non ha voluto perdere terreno e non ha mai mollato. Quindi, sinceramente, di quello che dicono gli altri di noi mi entra a 100 e mi esce a 1000".

È già partita la discussione sullo Scudetto numero 14, quello assegnato nella stagione 2005-2006… il dibattito calcistico in Italia è rimasto fermo intorno a Calciopoli da anni.
"No, non tutti. Direi che qualcuno è fermo lì, ma è sempre un pretesto per distogliere lo sguardo dal merito da riconoscere i vincitori. Nel corso della stagione c'è stato un certo tipo di narrazione che aveva come unico obiettivo quello di distogliere lo sguardo dal riconoscere i meriti all'Inter, al lavoro di Inzaghi e a quello che ha fatto, con argomentazioni che sono cambiate via via nel corso del tempo. Quando queste sono superate e non tengono più alla prova dei fatti, l’ultima carta da giocare quella che ti resta è quella. A me viene da sorridere perché quando l'Inter vinse nel 2010 la Champions League uno dei temi che venivano sbandierati per togliere valore a quella vittoria era il fatto che non ci fossero gli italiani. Oggi l'Inter credo sia una di quelle che da più giocatori alla Nazionale ma questo non è più un valore. Questa cosa è la dimostrazione che quando si vuole attaccare, fare polemiche, se quello è l'unico obiettivo, ci si attacca a tutto. Durante l'anno i pretesti sono stati tanti e sono stati sconfessati dai numeri, perché le statistiche dell'Inter sono impressionanti e non c'è nessuna possibilità di negare quello che sta facendo questa squadra. Ci si va ad attaccare piuttosto al 2006 o magari ci si andrà ad attaccare allo scudetto del passato. Una scusa e un pretesto per togliere valore alle vittorie degli avversari perché c’è una scarsa cultura sportiva: basterebbe dire ‘bravi, avete vinto, complimenti’. Punto, stop, fine dei discorsi. Anche il giornalismo sportivo si è appiattito molto su questo e non è bello da vedere".

Il modo in cui l’Inter ha giocato quest’anno è stato davvero divertente: è la ‘più bella’, dal punto di vista estetico, che lei ricorda oppure ne ha in mente altre?
"Io sono convinto che i paragoni tra le squadre di diverse epoche siano sempre un po' limitati, innanzitutto dalla percezione che si ha. Certo, questa è un’Inter bellissima ma, tendenzialmente, noi non spicchiamo per senso storico, siamo abbastanza sempre più portati a idealizzare quello che abbiamo sotto gli occhi. Ovviamente, io della Grande Inter quello che so deriva dai racconti di mio padre, dai libri e dai filmati però poi il calcio è una cosa le cui emozioni sono in parte raccontabili attraverso queste cose, bisogna viverlo dal vivo e da vicino, per poterne parlare del tutto con cognizione. In ogni caso, sicuramente questa Inter, anche rispetto a quelle che ho visto vincere come quella del Trap, quella di Mancini o quella di Mourinho, sicuramente gioca molto bene e, a differenza di quelle che abbiamo ricordato, ha come segno distintivo innanzitutto il fatto di avere il collettivo come valore fondante. Magari aveva meno sulla carta a livello di singoli ma una grande forza di squadra. In partenza non ci davano per vincenti ma questa squadra ha sfidato anche i pronostici, puntando molto sul collettivo, sia dal punto di vista della costruzione della squadra che nell'impianto di gioco. Anche a livello di mercato non abbiamo speso tanto, credo che il Milan abbia speso parecchio più di noi; la Juve non è cambiata tanto ma ha molti calciatori di valore degli anni scorsi e poi c’era il Napoli campione d'Italia in carica da battere. Questa cosa di partire un po' dietro nei pronostici dà altro valore alla vittoria, perché è arrivata con una squadra costruita in maniera diversa rispetto al solito e non potendo spendere grandi cifre. Questo forse rende ancora più unica questa annata".

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A proposito di unicità, c’è un momento più di altri di questa stagione che il tifoso interista ricorderà più di altri.
"Sicuramente la vittoria nel derby di andata è stata qualcosa di clamoroso per le proporzioni e il modo in cui è arrivata. Quello è sicuramente stato un bel prologo. Dopodiché, secondo me, la fase più delicata è stata tutta quella tra il Verona e la Juventus con la Supercoppa in Arabia in mezzo e le partite di Firenze e Roma: in quel momento l’Inter ha giocato un sacco di partite e alcune erano molto dure, ma è stato viatico clamoroso anche perché le ha vinte praticamente tutte. Quindi, se dovessi scegliere, direi quella parte di anno lì".

C'è un calciatore più di altri che rappresenta l'interismo nel senso più puro nel termine?
"Mi sembra che questa squadra non abbia problemi di leader visto che molti calciatori oltre che essere interisti, sentono forte il valore del club e del blasone che si portano indietro. Dire Dimarco è scontato, Lautaro da quando porta la fascia ha dimostrato ancora di più quanto tenesse alla maglia nerazzurra e poi penso a Bastoni, Barella, Darmian… il collettivo, come dicevo prima. Credo sia ingiusto sceglierne uno solo. Sento proprio che c’è un bel legame tra il mondo Inter e tutto l’ambiente, da parte di tutta la squadra e dell'allenatore".

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