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Frey svela che ha fatto testamento: “Avevo le gambe paralizzate, chiuso in terapia intensiva”

Sebastien Frey racconta un momento durissimo della sua vita: il timore di morire fu tale da indurlo a fare testamento. L’ex portiere ha abbracciato il buddismo: “Zalayeta non si è mai scusato per avermi disintegrato il ginocchio. E due anni dopo s’è infortunato anche lui. Karma…”.
A cura di Paolo Fiorenza
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Sebastien Frey in carriera ha messo un solo trofeo in bacheca, la Coppa Italia del 2001/02 quando giocava nel Parma, ma è ricordato come uno dei portieri più forti della sua generazione: Inter, Verona, Fiorentina e Genoa le altre maglie che l'estremo difensore francese ha vestito in Italia, prima di chiudere la carriera in Turchia al Bursaspor, esattamente dieci anni fa. Oggi, che di anni ne ha 45, Frey racconta un momento durissimo vissuto dopo il ritiro, tale da indurlo a fare testamento: vedeva possibile una fine tragica della sua vita.

Sebastien Frey chiuso in terapia intensiva: "Scrissi un testamento in caso di morte"

Era il 2019, Seba finì ricoverato in terapia intensiva con sintomi terribili: "Ho rischiato di morire per colpa di un virus. Una malattia autoimmune. Tosse, raffreddore, febbre e la paralisi alle gambe. Scrissi un testamento in caso di morte. Per un mese non sono riuscito a camminare, poi il corpo ha creato degli anticorpi. È stato il periodo peggiore della mia vita. Chiuso in un ospedale in terapia intensiva, in un letto minuscolo. La famiglia e la fede mi hanno aiutato, come il destino: nel 2016 ho scampato l’attentato sulla Promenade des Anglais a Nizza per un ritardo del volo…".

Frey ad Anfield nel 2009 nella storica vittoria della Fiorentina in casa del Liverpool in Champions League
Frey ad Anfield nel 2009 nella storica vittoria della Fiorentina in casa del Liverpool in Champions League

Frey e il buddismo: "Zalayeta non si è mai scusato. E due anni dopo s'è infortunato anche lui. Karma"

Quando parla di fede, Frey si riferisce al buddismo, abbracciato in un altro momento molto difficile della sua vita, quando ancora giocava: "Io non mollo, non l'ho mai fatto – spiega alla ‘Gazzetta dello Sport' – Neanche quando Zalayeta mi disintegrò un ginocchio nel mio momento migliore. Io combatto pregando: il buddismo mi ha salvato. L'ho abbracciato quasi vent'anni fa, dopo l'infortunio peggiore mai avuto: 10 gennaio 2006, Juve-Fiorentina 4-1, un'entrata assurda di Zalayeta. Non si è mai scusato. E due anni dopo s'è infortunato anche lui. Karma. Il buddismo insegna anche questo".

Fondamentale fu in quel frangente il confronto con Roberto Baggio: "Ero in ritiro a Folgaria e lo chiamai. Avevamo giocato insieme all'Inter nel 1998/99. Lui era già Roby, io un diciottenne dai capelli biondo platino che anni prima aveva detto no alla Juve. Gli chiesi come avesse fatto a uscire dall'incubo infortuni e mi parlò del buddismo. Una svolta. A casa ho creato uno spazio spirituale, un mini tempio tutto mio dove mi rifugio quando le cose vanno male. Ora so gestire la rabbia e le le emozioni. Dopo l'altro infortunio del 2011, dove sono rimasto fuori sei mesi, ho avuto bisogno di un aiuto psicologico. Avevo 30 anni, in piena separazione da mia moglie e con un'altra lesione. Mi crollò il mondo addosso, ma sono fiero di essermi fatto aiutare. Da solo non ce l'avrei fatta".

Frey lo scorso anno nello spogliatoio delle Inter Legends prima di un match in Georgia: con lui Borja Valero e Goran Pandev
Frey lo scorso anno nello spogliatoio delle Inter Legends prima di un match in Georgia: con lui Borja Valero e Goran Pandev

Cosa fa oggi Sebastien Frey a 45 anni

Oggi Frey è ancora a contatto col mondo del calcio: "Mi godo la famiglia, i figli, la mia accademia di portieri in collaborazione con l'Inter. Stare in mezzo ai bambini mi fa stare bene. Sto cercando di spiegare a mio figlio cos'è stato il calcio in cui ho giocato io. E gli racconto di Ronaldo il Fenomeno, gli dico che è stato unico. Lui è cresciuto con Messi e Cristiano, ma Ronnie è stato il Michael Jordan del calcio. Se sono stato tra i primi cinque portieri al mondo? Lo dicevano gli altri, ma a Firenze mi sentivo un supereroe".

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