Cesare Prandelli: “Boniperti arrivò all’Heysel e vide un lenzuolo bianco. Ci disse: la Juve non gioca”

Doveva essere solo una partita di calcio, è diventata una tragedia. Sono passati quarant'anni dalla strage dell'Heysel ma la ferita è ancora aperta e probabilmente non si rimarginerà mai. Mercoledì 29 maggio 1985 allo stadio di Bruxelles poco prima dell'inizio della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool morirono 39 persone, di cui 32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600. Una delle tragedie più grandi che hanno colpito il mondo del calcio e che ancora oggi è viva nelle menti di tutti gli sportivi.
Tutto accadde prima del fischio d'inizio. Nel settore Z dello stadio molti tifosi juventini, che si erano organizzati autonomamente, vennero posizionati insieme a parte della tifoseria neutrale ed erano separati dagli hooligan inglesi con barriere inadeguate a contenere la forza dei tifosi inglesi più violenti: circa un'ora prima dell'inizio i supporter britannici iniziano a spingere verso il settore Z e un muro crollò, con i tifosi juventini che tentarono la fuga in ogni modo ma si trovarono intrappolati senza vie d'uscita.

Tra i calciatori della Juventus c'era anche Cesare Prandelli, che giocò gli ultimi minuti subentrando a Massimo Briaschi, che non nasconde la difficoltà tornare indietro con la mente a quella serata di terrore vissuta a Bruxelles: "I ricordi sono veramente molto dolorosi". Il risultato finale, con i bianconeri che vinsero con un gol di Platini, contò fino ad un certo punto perché l'eredità che lascio quella serata fu di una crudeltà che si riscontra ancora oggi nelle parole e negli occhi di chi ha vissuto quegli attimi.
"Quando parli di 39 morti non devi valutare solo quel numero lì ma devi moltiplicarlo per 7, per 8, per 10, perché tutte quelle persone avevano una famiglia e avevano degli amici". Così l'ex calciatore e allenatore di Orzinuovi a Fanpage.it ha ricordato quanto ha lasciato quella nottata tragica, a lui e a tutti quelli che l'hanno vissuta, all'Heysel.

Sono passati 40 anni dalla strage dell'Heysel: quali sono i pensieri di Prandelli ogni volta che la mente torna a quella sera?
"Una vera e propria tragedia, un ricordo tremendo. Che non vorresti mai riportare alla luce ma bisogna ricordare quello che è accaduto, per non dimenticare. Forse quella grande tragedia è servita per cercare di aprire una nuova fase del calcio, per ristrutturare tutti gli stadi, per avere un'accortezza e una sicurezza maggiore; però è stata una tragedia immane. I ricordi sono veramente molto dolorosi".
Voi sapevate cosa stava succedendo fuori?
"Paradossalmente, la nostra fortuna è stata che non abbiamo visto nulla, nel senso che da casa in televisione hanno visto quelle immagini in diretta. Noi eravamo chiusi in questo spogliatoio e l'unica cosa che abbiamo fatto è stata far passare molti tifosi che volevano scappare via, che volevano uscire dallo stadio. Hanno vissuto sulla loro pelle quei momenti e cercavano una via di fuga. Se noi avessimo visto tutto quello che hanno visto gli altri da casa, probabilmente non saremmo scesi in campo".

E cosa è successo?
"Il problema in quel momento era evacuare la parte degli inglesi, perché gli juventini erano la maggioranza e non sapevano come fare. Poi è arrivato il delegato UEFA dicendo che la partita sarebbe iniziata in ritardo, ma che si sarebbe giocata. Boniperti quando arrivò allo stadio vide questo lenzuolo bianco e c'era ufficialmente un morto. Lui ha detto subito che non avrebbe fatto scendere in campo la squadra e ricordo testuali parole: ‘La squadra non scende quando c'è un morto nello stadio'".
E invece?
"Di morti ce n'erano di più e siamo stati costretti a scendere in campo. Questa è la verità. Fummo costretti a rimanere di più anche dopo la partita, proprio per cercare di prendere tempo per evacuare lo stadio: era uno stato d'emergenza, c'erano i carri armati intorno allo stadio e non sapevano come fare per evacuare quella parte di tifosi inglesi. Fu una nottata tragica e quando siamo ritornati in albergo ricordo che abbiamo visto le immagini, c'è stato un silenzio lunghissimo e nessuno ha detto una parola. Ci siamo solo guardati in faccia l'un l'altro. Non sapevamo nulla di quello che stava accadendo fuori. Noi sapevamo ufficialmente che c'era un morto, perché il presidente Boniperti entrò nello spogliatoio dicendo: ‘Non si gioca, non si gioca. Io la mia squadra non la faccio giocare coi morti in campo'".

È vero che alcuni calciatori della Juve avevano già fatto la doccia?
"Sì, è vero. Quando Boniperti disse quella cosa, alcuni fecero la doccia. Poco dopo arrivò il delegato UEFA dicendo che stavano valutando un po' tutto e il ministro degli Esteri dell'epoca, Gianni de Michelis, fu bravissimo a muoversi con autorità e con fermezza, ma al tempo stesso con sensibilità. Mi ricordo che si erano riuniti e hanno parlato per diverso tempo prima di far incontrare Scirea e il capitano del Liverpool: in quel momento decisero che si doveva giocare. Noi a fine primo tempo pensavamo di ritrovare questo delegato UEFA nello spogliatoio che ci dicesse la partita era terminata lì, invece ha ribadito il fatto che la partita non sarebbe stata mai ripetuta. Se noi avessimo visto quelle immagini io credo che nessun sarebbe sceso in campo. La nostra fortuna, se così possiamo definirla, è non aver visto quello che fuori sapevano tutti".
Ci sono momenti che cambiano tutto nella vita di una persona e di uno sportivo: quanto ha pesato l'Heysel nel percorso di Cesare Prandelli?
"Ha pesato tantissimo perché quando parli di 39 morti non devi valutare solo quel numero lì ma devi moltiplicarlo per 7, per 8, per 10, perché tutte quelle persone avevano una famiglia e avevano degli amici. Sono state coinvolte migliaia di persone in quella tragedia. Tante persone hanno deciso di allontanarsi dal calcio in quel momento mentre altri sono tornati allo stadio solo dopo tanti anni. Molti quella sera hanno perso quell'aspetto romantico legato al calcio. Io non ho mai sentito questa coppa come nostra e dopo ci sono state anche tante polemiche gratuite".

A proposito di questo, come risponde Prandelli alle critiche che negli anni si sono susseguite sul fatto che la Juventus ha festeggiato la vittoria della coppa dopo quella partita?
"Sono state sempre molto pretestuose e, infatti, noi non abbiamo mai risposto, proprio per il rispetto delle persone e per il ruolo che avevamo in quel momento. Loro ci hanno ci hanno detto, state lì, state lì anche con la coppa. Molti sono usciti dagli spogliatoi e molti altri no. Ma ci avevano detto così e dovevamo farlo per la sicurezza. Hanno provato ad evitare la caccia all'inglese dopo la partita o scontri ancora più atroci e difficili da gestire rispetto a quanto accaduto prima".
Nel corso degli ultimi anni abbiamo visto sui muri di alcuni stadi italiani delle scritte tremende proprio in merito a quella tragedia: perché, secondo lei, si deve arrivare a toccare determinate corde quando si può prendere di mira il rivale o l'avversario in maniera differente? Perché questa totale mancanza di rispetto?
"È difficile dare una motivazione. È successo, purtroppo, ma è brutta e irrispettosa nei confronti di di tutti. Alla fine della partita la rivalità dovrebbe finire e bisognerebbe andare avanti. C'è stato un periodo in cui si leggevano delle scritte ignobili che non c'entrano e non c'entreranno mai nulla con lo sport e con il calcio".
Un po' quello che accade quasi ogni anno anche con la ricorrenza legata alla tragedia di Superga…
"Sì, esatto. Ma la follia umana purtroppo non ha dei limiti e fa molto male sempre. In qualunque caso".