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Briaschi: “Alle 10 entrai in ufficio e dopo due minuti avevo firmato: era Boniperti, era la Juve”

Massimo Briaschi, ex attaccante di Vicenza, Genoa e Juventus, oggi procuratore sportivo, ripercorre a Fanpage.it la sua carriera tra aneddoti e ricordi: dal “Real Vicenza” al dramma dell’Heysel, fino al lavoro con i giovani. Un viaggio sincero e lucido nella vita di chi ha visto il calcio da ogni prospettiva.
A cura di Vito Lamorte
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Ci sono carriere che si leggono come un romanzo: fatte di ascese, di ferite e di ritorni. Quella di Massimo Briaschi è una di queste. Dalle corse leggere sotto il cielo di Vicenza e Genova al sogno europeo con la Juventus di Giovanni Trapattoni, dai gol in Coppa dei Campioni ad una delle notti che il calcio non può dimenticare come quella dell’Heysel: "Feci diverse infiltrazioni pur di esserci ma in campo, quella sera, il pallone pesava come il silenzio".

Nel suo viaggio ci sono anche le mani forti di Giampiero Boniperti, uno sguardo che non ammetteva distrazioni, e la gioia semplice del gol segnato al Bordeaux, quello che ancora oggi ricorda come "il più importante ma non il più bello perché quella sera cambiò la mia carriera". Oggi Briaschi fa il procuratore e parla con la serenità di chi ha visto tutto — la gloria e il dolore, il sacrificio e la rinascita — e con la lucidità di chi sa che il calcio vive nel rispetto, nella fatica e nei valori. Massimo Briaschi, oggi 67enne, ripercorre a Fanpage.it la sua carriera tra aneddoti e ricordi: dal ‘Real Vicenza' al dramma dell’Heysel, fino al lavoro con i giovani di oggi. Un viaggio sincero e lucido nella vita di chi ha visto il calcio da ogni prospettiva.

Cosa fa oggi Massimo Briaschi?
"Faccio i procuratore. Mi occupo di giovani: abbiamo qualche nome promettente, qualcuno ha già esordito. Cerchiamo di seguirli con attenzione e di farli crescere, perché crediamo che il futuro sia nei giovani".

Lavorate solo con giovani o anche con giocatori più affermati?
"Un po’ entrambi, ma negli ultimi anni ci siamo concentrati soprattutto sui giovani: sono loro che rappresentano il domani del calcio".

Briaschi in azione con la maglia della Juventus.
Briaschi in azione con la maglia della Juventus.

Lei ha vestito maglie importanti come Genoa e Juventus. Come vede oggi queste due squadre?
"Sono due club storici, con un’identità fortissima. La Juventus è una delle società più importanti al mondo, mentre il Genoa ha un legame emotivo unico con la sua città. Tra le due, in questo momento, il Genoa sta vivendo una fase più complicata e capiremo presto se sarà in grado di risollevarsi. Glielo auguro".

Il calcio di oggi è molto diverso da quello che ha vissuto lei. Come lo percepisce?
"Diverso, sì, ma è giusto così: il mondo cambia, cambiano le persone, le dinamiche. È un altro calcio — poi ognuno può giudicare se sia migliore o peggiore, ma è inevitabile che evolva".

Briaschi al Lanerossi Vicenza in azione contro il Dukla Praga, squadra a cui segnò la sua prima rete nelle coppe europee.
Briaschi al Lanerossi Vicenza in azione contro il Dukla Praga, squadra a cui segnò la sua prima rete nelle coppe europee.

Torniamo agli inizi della sua carriera. Lei è cresciuto nel Vicenza, nel celebre “Real Vicenza”. Che ricordo conserva di quegli anni?
"Un ricordo bellissimo. Ero di casa, nato a pochi chilometri da Vicenza. Esordire a 18 anni con la squadra della propria città fu un orgoglio enorme, per me e per la mia famiglia. Altri tempi: oggi si fa fatica a vedere debutti così precoci".

Ricorda il suo primo gol in Europa col Vicenza?
Come potrei dimenticarlo? Giocavamo in Coppa contro il Dukla Praga: passaggio filtrante di Cerilli, tiro, e gol. Fu il primo in assoluto del Vicenza in una competizione europea".

Briaschi segnò l'ultimo gol subìto nel campionato italiano da Dino Zoff…
"Un altro ricordo che porto dentro con grande piacere".

Il gol di Briaschi, con la maglia del Genoa, contro la Juventus: fu l’ultimo subito da Zoff.
Il gol di Briaschi, con la maglia del Genoa, contro la Juventus: fu l’ultimo subito da Zoff.

Poi arrivò la Juventus di Trapattoni. Cosa rappresentò quel passaggio?
"Un sogno. Avevo diverse offerte, ma quando arrivò la chiamata della Juve non ci pensai due volte. Mio padre era juventino sfegatato, quindi puoi immaginare. Entrai nell’ufficio di Boniperti alle 10 del mattino e alle 10:02 avevo già firmato. Con lui non si trattava: i contratti erano già pronti (ride, ndr)".

In quella Juve c’era anche Paolo Rossi. Che rapporto avevate?
"Straordinario. Eravamo stati compagni a Vicenza e poi di nuovo a Torino. Paolo mi aiutò tantissimo nei primi giorni, mi fece ambientare. Era un amico vero, dentro e fuori dal campo. Ho un ricordo meraviglioso di lui, come uomo prima ancora che come calciatore".

La notte dell’Heysel fu una tragedia ma qualche giorno prima ci fu la partita col Bordeaux che segnò la sua carriera con la lesione del legamento crociato e capsula articolare: come ricorda oggi a distanza di tempo?
"Purtroppo sì. Mi ero rotto il crociato nella semifinale col Bordeaux, ma giocai comunque a Bruxelles dopo diverse infiltrazioni".

Briaschi in campo con la Juventus al fianco di Scirea.
Briaschi in campo con la Juventus al fianco di Scirea.

Poi arrivò la notte tragica di Bruxelles, che è una ferita aperta ancora oggi…
"Ricordo tutto di quella giornata: al mattino andammo a fare una passeggiata in centro, e già lì capimmo che qualcosa non andava. Gli inglesi erano fuori controllo fin dalle 10 di mattina, con casse di birra ovunque. Lo stadio poi non era all’altezza di una finale di Coppa Campioni: strutture vecchie, sicurezza inesistente. Fu una tragedia annunciata. Ancora oggi ho impressi ogni momento di quella sera. Terrificante".

Dopo l’Europa arrivò anche un’esperienza in Canada. Come nacque?
"Sì, ho giocato nei North York Rockets di Toronto. Pochi lo sanno, perché sui siti la mia carriera sembra finire a Prato (ride, ndr). Mi chiamarono perché volevano giocatori con un po’ di esperienza. Incontrai il direttore a Milano, e in un’ora ci accordammo. Lì il calcio era ancora agli inizi, ma fu un’esperienza bellissima. Andai anche per imparare l’inglese… poi scoprii che a Toronto c’erano mezzo milione di italiani! Quindi alla fine parlavo sempre italiano (ride)".

Massimo Briaschi in azione con la maglia della nazionale olimpica nel 1983.
Massimo Briaschi in azione con la maglia della nazionale olimpica nel 1983.

Un altro capitolo importante furono le Olimpiadi di Los Angeles 1984. Che squadra era quella?
"Fortissima. C’erano Baresi, Ferri, Serena, Massaro, Zenga, Galli… una generazione d’oro. Purtroppo perdemmo la finale per il bronzo contro la Jugoslavia, che era un’autentica corazzata. Io giocai contro il Costa Rica, non una grande partita, e ricordo un episodio curioso: dovevo trasferirmi alla Lazio, ma rifiutai. Il giorno dopo, in tv, vidi un messaggio dei tifosi della Curva Nord: ‘Dopo averlo visto giocare, siamo felici che non sia venuto!'".

Oggi, da procuratore, che cosa cerca in un giovane calciatore?
"Il talento serve, ma la testa conta di più. Io cerco di trasmettere loro l’esperienza vissuta in campo: parlo di cose che ho fatto, non che ho sentito dire. Gli spiego dove sbagliavo io, e cosa avrei potuto fare meglio. È il modo migliore per aiutarli a crescere davvero".

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