Bellerin sbotta: “Non esiste solo l’Ucraina, è razzista chiudere un occhio sulle altre guerre”

Triste e razzista. L'ex difensore dell'Arsenal, Hector Bellerin, non usa giri di parole per definire l'approccio e l'attenzione verso il conflitto in Ucraina. Lo ritiene discutibile per il relativismo che mostra nella valutazione e nell'evidenza negata ad altri contesti caldi, dove infuria l'efferatezza dei combattimenti come in quella porzione di Europa. La sua è una voce fuori dal coro – e non è la prima – sulla maggiore considerazione relativamente alla guerra scatenata dalla Russia rispetto ad altre ugualmente cruente.
L'ambito in cui matura la riflessione del difensore spagnolo è lo stesso del calciatore turco che qualche settimana fa rifiutò di indossare la t-shirt "stop war". Le motivazioni furono identiche: perché vengono ignorate altre situazioni? perché ulteriori immagini, filmati altrettanto scioccanti per violenza e crudezza, che arrivano da altre zone del mondo passano in secondo piano? non erano (e non sono) forse innocenti anche i civili, i bambini morti in Palestina, nello Yemen oppure in Iraq? perché in quei casi si è chiuso (e si chiude ancora) un occhio?
"Considero molto triste vedere come siamo stati così interessati a questa guerra – le parole di Bellerin, in prestito al Betis Siviglia, nell'intervista al quotidiano spagnolo ‘Marca' -, ma ce n'erano altri di cui non ci siamo preoccupati. È una cosa che non mi riesco a spiegare… probabilmente è perché la guerra in Ucraina è più vicina a noi a livello economico e per i profughi, ma del conflitto in Palestina se n'è parlato poco. È razzista aver chiuso un occhio su altri conflitti e adesso avere questa posizione dando maggiore spazio e considerazione a un conflitto che è più vicino a noi".

Il mondo del calcio, e quello dello sport in generale, hanno inflitto sanzioni durissime alla Russia estromettendola da tutte le discipline oppure (è il caso del tennis) permettendo agli atleti/giocatori di partecipare ai tornei internazionali in forma privata senza né denominazione, bandiera e nemmeno l'inno nazionale. Il caso del Chelsea e di Roman Abramovich è solo uno degli esempi del domino di provvedimenti presi nei confronti dei club e dei tesserati russi, in particolare di coloro che – come il ginnasta Kuliak oppure il nuotatore Rylov – hanno dato sostegno alla guerra voluta da Putin esibendo il simbolo – la lettera zeta – utilizzato per l'operazione militare.