Andrea Carnevale: “Mamma si vergognava di denunciare, papà la uccise. Ricordo un’immagine brutale”

Andrea Carnevale in un’intervista a Fanpage.it ha raccontato la storia della sua vita. L’ex calciatore di Napoli, Roma e Nazionale non ha parlato della sua storia calcistica, ma soprattutto della tragedia familiare che lo colpì quando aveva 14 anni.
A cura di Alessio Morra
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Andrea Carnevale è stato un calciatore di prima fascia. Ha giocato per quattro anni con il Napoli, ha vinto due scudetti, quattro trofei, ma soprattutto ha giocato al fianco di Diego Armando Maradona. Ha disputato i Mondiali di Italia '90, ha giocato pure al fianco di Zico, nella prima parte della sua storia all'Udinese. Per i bianconeri ha scovato calciatori in ogni angolo del mondo, molti di quei ragazzi sconosciuti hanno poi spiccato al volo. Insomma, all'apparenza una vita perfetta, quasi ideale. Ma in realtà Andrea Carnevale ha deciso di raccontare in un libro, Il destino di un bomber (scritto con Sansonna per 66Thand2nd), tutta la storia sua vita che è stata segnata da un femminicidio. Perché quando Carnevale aveva 14 anni il padre uccise la madre. Oggi dopo tanti anni l'ex calciatore ha deciso di parlare della sua tragedia familiare e nell'intervista a Fanpage.it a chi vive situazioni del genere consiglia di denunciare.

In questo libro hai raccontato tutta la tua storia, soffermandoti tanto nella tua storia familiare, che è stata segnata da una tragedia, l'uccisione di tua madre da parte di tuo padre.
La mia storia non è la classica storia del calciatore che arriva a giocare con il più grande campione di tutti i tempi, e cioè Maradona, ma ho giocato anche con Zico. Tutto questo è secondario. Ho voluto raccontare la mia storia, la storia di Andrea Carnevale bambino, che a 14 anni è rimasto orfano di madre, orfano di femminicidio. E voglio parlare di questo cancro della società che purtroppo si vede tutti i giorni. Il mio messaggio è per le donne. Il mio messaggio è per mia madre, che è stata brutalmente uccisa da mio padre, io non sono fiero di essere figlio di mio padre.

Tu consigli a chi subisce di dover denunciare. Tu stesso da ragazzino hai denunciato, hai lanciato più di un grido d'allarme, purtroppo, inascoltato.
Le donne devono assolutamente denunciare. Io denunciai verbalmente in alcune occasione, ma era diverso, erano altri tempi ed era anche un piccolo paese, Monte San Biagio, dove c'era anche la vergogna. Mia madre si vergognava. I suoi figli – noi sette – andavamo a denunciare. Abbiamo dato l'allarme, ma le istituzioni che avrebbero dovuto capire che quell'uomo era veramente pericoloso. Non lo hanno fatto. Ogni volta che vedo casi del genere, mi viene in mente quel bambino di 14 anni, che ha sofferto anche lui per un femminicidio efferato. Mi sento molto vicino agli orfani, vorrei incontrarli a uno a uno, abbracciarli, perché so cosa provano.

L'immagine del barattolo con il sangue è fortissima, cruda. Se potessi dare un consiglio ai 14enni di oggi che consiglio daresti?
Quella è un'immagine brutale, mi dispiace anche dire questa cosa. Ma il mio era stato un grido di allarme, di rabbia, perché non era una sera sola, due sere, una settimana, ma erano mesi che mio madre inveiva contro una donna, così buona, così dolce, che ha sempre cercato di difendere i suoi figli. Questa è anche la malattia di oggi, questi uomini vili, senza dignità, che trattano le donne come oggetto, com'è stato per quella poveretta di mia madre. Noi dobbiamo fare qualcosa affinché le istituzioni diano qualche messaggio forte. Voglio tenere acceso il lumino perché questo è un cancro che si espande sempre di più. Ogni anno ci sono solo in Italia oltre 100 femminicidi.

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Oggi hai deciso di raccontare tutta la tua vita in un libro, ma hai aspettato quasi 50 anni prima di parlare di questo episodio che ha segnato la tua vita. Come mai lo hai fatto solo adesso?
Questo è un vuoto che non si colma mai e a 64 anni ho deciso di liberarmi. Io ora mi sento un uomo diverso, un uomo libero. Nell'ultimo anno la mia famiglia mi sta appoggiando affinché porti avanti questa battaglia, questa storia, che va al di là del libro. Questo grande dolore l'ho messo nella mia pancia, nella mia testa, come in una cassaforte, cinquant'anni fa. E ho fatto il mio cammino nella vita con lo sport che mi ha aiutato. Perché poi quel bambino lì, ha avuto grandi soddisfazioni, non c'è solo questoepisodio drammatico nella mia vita. Con il tempo sono riuscito poi a mettere a posto pure la famiglia. A una certa età si è più sensibili, sono diventato nonno, si diventa padri più ragionevoli, e l'ho voluto fare. Tutto nasce da un'intervista con un giornale e mi sono lasciato andare così tranquillamente, senza rendermene conto.

Che rapporto hai con il perdono? Il tema del femminicidio spesso si intreccia a quello del perdono. 
Non so odiare, non sono cattivo nella vita, lo ero solo in campo ero cattivo, solo in campo perché forse sprigionavo quello che era un grande dolore, ed ero un po' cattivello calcisticamente. Riguardo il perdono posso raccontare un episodio. A 16 anni quando ho esordito con l'Avellino, ho fatto il primo gol in Serie A. Subito dopo venni chiamato da un prete di Aversa, nel carcere criminale, e dopo qualche giorno andai addirittura a trovare mio padre, perché avevo il bisogno di vederlo, di capire che uomo era ancora. In quel momento non ho provato odio per mio padre, l'ho anche abbracciato. Non so provare odio.

Nella tua vita a un certo punto arriva Maradona, con il quale hai vissuto delle annate magnifiche al Napoli.
Diego quando è arrivato qui era la stagione 1984-1985, ed è diventato una sorta di Gesù. Questo grande amico mio ha portato il vero calcio a Napoli e ha fatto conoscere Napoli in tutto il mondo, io non finirò mai di ringraziarlo. Il mio grande fratello Diego ha una storia simile alla mia e anche per questo ci siamo trovati subito. Gli volevo un bene dell'anima. Oggi ci manca tanto. Se Napoli è diventata una città internazionale è anche grazie a Diego Armando Maradona. Devo ringraziarlo se sono riuscito a vincere due scudetti, una Coppa Italia e una Coppa Uefa. Quindi Grazie Diego.

Hai avuto una splendida amicizia con Maradona, ne parli anche nel tuo libro. Ci puoi raccontare qualcosa di inedito, un aneddoto carino che ti lega a Diego?
Abbiamo fatto quattro anni (1986-1990) insieme, ho fatto grandi serate con Diego e con la sua famiglia, con i compagni di allora – da Giordano a Crippa da De Napoli a Renica. Era un ragazzo molto generoso. Un aneddoto bello è quello relativo a un suo compleanno. Regalò a tutti noi calciatori tre fedine, che erano il simbolo dell'amicizia, e le ho ancora conservate dentro una teca, le terrò custodite per sempre, un segno di grande amicizia che ha fatto per tutta la vita.

Andrea Carnevale e Diego Armando Maradona, ai tempi del Napoli.
Andrea Carnevale e Diego Armando Maradona, ai tempi del Napoli.

Dalle tue parole si percepisce grande affetto per il Maradona uomo, oltre al rispetto per un calciatore straordinario, praticamente ineguagliabile.
Lo conoscevo bene, ci volevamo bene. Capitava spesso che sera che voleva rilassarsi, voleva stare tranquillo e visto che abitavamo vicino, veniva sul tardi, veniva a suonarmi ed eravamo insieme a ridere e scherzare. Non ho mai visto un giocatore stratosferico, come lui, un pezzo unico, con tutto il rispetto per Pelé, straordinario, così come Messi, Ronaldo, Baggio. Diego era di un'altra categoria, di un altro livello, geniale. Noi giocavamo tranquilli, perché sapevamo che ci pensava lui.

Il 1990 è stato un anno importante nella tua vita. Prima lo Scudetto con il Napoli e poi i Mondiali, quelli delle Notti Magiche che finirono in quella semifinale con l'Argentina.
Per me l'inizio è stato un Mondiale bellissimo, si giocava in casa, c'era tutta l'Italia vicina alla Nazionale italiana. Noi avevamo una squadra fortissima. C'erano Baggio, Schillaci, Baresi, Mancini, Zenga, Vialli, Ancelotti. Arrivammo solamente terzi. Con il Mondiale che finì proprio a Napoli, contro Maradona. Quella fu una semifinale molto equilibrata che perdemmo ai rigori. Io iniziai bene, ma il mio Mondiale finì subito. Sbagliai due gol, entrò contro l'Austria il mio amico Totò e lui in mezzo a due torri austriache segna un gol di testa che dà il via alle Notti Magiche.

Il tuo Mondiale durò appena due partite. Giocasti titolari l'esordio con l'Austria e poi contro gli USA. Quando Vicini ti sostituì ci fu un brutto gesto da parte tua. Un gesto che pagasti a caro prezzo, perché di fatto finisti fuori squadra.
Partendo da titolare della Nazionale del Mondiale in casa, io in coppia con Vialli, lui mi punì, io ho fatto una piccola imprecazione mandandolo a quel paese. Ai giovani dico di non comportarsi così. Però avevo talmente voglia di esplodere in quel Mondiale e quando uscì la presi male. Sapevo che se avessi fatto il primo gol magari sarei potuto essere io il capocannoniere.

La Nazionale che ha disputato i Mondiali di Italia 90, Carnevale ha giocato due partite.
La Nazionale che ha disputato i Mondiali di Italia 90, Carnevale ha giocato due partite.

Italia 90 è stato un momento importante della tua vita, al di là dello sport. Racconti nel tuo libro anche delle notti trascorse nel ritiro di Marino insieme a tanti compagni illustri.
Noi eravamo un gruppo di grandi uomini. C'era Vialli, con il suo stile, il suo carattere, ma anche Schillaci con questi occhi aperti che ti guardava sempre, stupito, un altro ragazzo d'oro. C'era Baggio che raccontava le barzellette. Le serate in cui aspettavamo l'inizio del Mondiale eravamo tutti in camera mia, pure a fumare qualche sigaretta. Fare il Mondiale in Italia è stata l'esperienza più bella della mia vita, purtroppo siamo usciti contro Maradona.

Un gruppo ricco di campioni, ma in realtà un gruppo di grandi amici. Perché siete sempre in contatto, con l'ormai nota ‘Chat di Italia '90'.
Si, la chat di Italia '90 è sempre attiva, così come pure quella delle Legends del Napoli. Noi ci scriviamo spesso, i grandi campioni sono anche dei grandi uomini. Penso a Zenga, Maldini, Ancelotti, Carletto mi ha pure ospitato anche quando era al Bayern. Un ragazzo sempre così carino. Ecco, oggi posso dirlo, lui ai Mondiali la sera mi chiedeva sempre la sigaretta.

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Hai citato grandi campioni del calcio italiano e oggi fa una certa tristezza nominare quei nomi in un momento storico difficilissimo per la nostra Nazionale. Secondo te perché le cose vanno così male, in cosa si sta sbagliando?
Mi dispiace molto per Luciano Spalletti, ha vinto lo scudetto al Napoli, è stato all'Udinese con noi per tanti anni. Rimane un allenatore straordinario. La colpa non è sempre tutta dell'allenatore, nemmeno quando viene licenziato. In questa era non ci sono più i grandi campioni di prima. Noi abbiamo vinto un Mondiale nel 1982 con dei fenomeni, e anche nel 2006 c'erano giocatori come Del Piero, Totti, Nesta, Buffon. Ora la Nazionale fa un po' fatica. Non ci sono più i talenti di una volta. Prima c'era molta più fame rispetto a oggi. Vedo nel mio lavoro di capo scouting all'Udinese la differenza tra straniero e italiano, con gli stranieri che hanno molta più fame rispetto agli italiani. Questo problema si ripercuote con i giovani e con la Nazionale.

Poi da noi in Italia i giovani fanno fatica ad emergere, mentre in Spagna ad esempio, al di là del fenomeno Yamal, i ragazzi bruciano le tappe.
In Spagna c'è un'altra cultura. In Italia si è persa un po' la cultura, un po' la fame, noi prima giocavamo in strada. Io pure giocavo nella strada sterrata e avevo fame. Oggi qualche ragazzo si perde, perché ha pure meno fede nelle sue possibilità di giocare a calcio.

Tu poi sei diventato uno straordinario scopritore di talenti. Come si fa a non farsi fregare quando si visiona un calciatore?
Il lavoro dello scout a distanza di 23 anni che faccio questo lavoro, a volte si sbaglia. Però la bellezza di questo lavoro, è la bellezza di andare in giro in tutto il mondo, come noi Udinese, e scegliere degli sconosciuti. Il nostro lavoro è molto più difficile rispetto a quello delle grandi squadre. Noi vediamo degli sconosciuti e nell'arco di uno o due anni di mandarli nelle altre squadre. Noi abbiamo una struttura a 360 gradi, quando arrivano non li mandiamo in campo e basta. Li mettiamo nelle condizioni di poter vivere passando da un paese all'altro, gli mettiamo a disposizione qualsiasi cosa, in primis un professore. Alleviamo i singoli giocatori.

Chi è il calciatore che i ha dato maggiore soddisfazione nell'aver scoperto?
Totò Di Natale. Perché lo abbiamo preso dall'Empoli, ragazzino napoletano, scugnizzo, che nell'arco di una decina d'anni, ha fatto circa 200 gol con l'Udinese in Serie A. Ci ha deliziato con gol straordinari. Poteva andare al Milan o alla Juve, ma ha preferito rimanere all'Udinese. Aveva un piede straordinario, un talento puro.

Se dovessi citarne anche un altro, tra i tantissimi che hai scovato in giro per il mondo?
Bruno Fernandes pure voglio citarlo. Noi lo prendemmo dal Novara, quando lo vedemmo aveva così tanto talento e ci ha meravigliato. Passato alla Sampdoria e poi al Manchester United e ha fatto tanto con la nazionale del Portogallo, un'altra perla che è valsa la pena prendere, perché giocava in Serie B.

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C'è un calciatore tra i tanti che hai scoperto che secondo te poteva fare qualcosa di più?
Forse Muriel, perché era il classico fuoriclasse assoluto, poteva fare molto di più, talento incredibile, corsa, dribbling, gol da fenomeno, che se avesse avuto più determinazione poteva arrivare a grandissimi livelli. Comunque ci è arrivato, ha fatto una bella carriera, ma diciamo poteva vincere di più. Zielinski quando lo vedemmo nel Torneo di Tolone tanti anni fa, lo prendemmo a Udine e lo mettemmo in prova. Quando lo vedemmo a Udine, chiamai il presidente e gli dissi non capisco se è destro o sinistro. Non capivo qual era il suo piede. Io penso sia ambidestro, è un giocatore di prima fascia.

In seguito al divorzio ha raccontato di non aver vissuto per anni con i tuoi figli. Qual è oggi il rapporto con loro?
Nel 2001 sono stato arrestato per spaccio internazionale, una mazzata tremenda, che so solo io. Una situazione terribile, dalla quale sono stato totalmente assolto, perché non c'entravo nulla. Ma quando hai a che fare con una parola: droga, puoi fare una cosa sola: lavorare, e grazie alla grande amicizia con la famiglia Pozzo sono andato all'Udinese, così sono andato da Roma a Udine. Da quel momento sono diventato un carro armato, volevo recuperare il tempo che avevo perso. Chiaramente ho cambiato città, ma non ho abbandonato i miei primi due figli, nonostante la chiusura del matrimonio. Non li ho mai abbandonati. Questo abbandono è stato creato per il trasferimento, non è era possibile, non era una cosa da me, io sono rimasto orfano e so bene quanto i figli hanno bisogno di avere vicini i genitori.

Nel libro c'è anche il racconto di una meravigliosa partitella giocata a Monte San Biagio con alcuni amici, illustri, incluso Massimo Troisi.
Io ho avuto la fortuna di conoscere Massimo Troisi in Nazionale. Nel 1987 volevo fare un regalo al mio paese. Perché quando siamo rimasti soli, c'è stata grande vicinanza. E ho voluto ripagarli, così ho portato tanti attori a fare una partita di calcio a Monte San Biagio. C'erano anche Tony Santagata, Ninetto Davoli e Massimo Troisi.

Tu in un'occasione hai portato Maradona a casa di Troisi, è vero?
Con Massimo abbiamo vissuto un periodo di grande amicizia, ci siamo frequentati sia a Napoli che a Roma e una volta lui mi chiese di portargli Diego a casa. Quando accadde mi disse: ‘André quando me lo porti stammi vicino, perché non so se riesco a stare vicino a Maradona'. Aveva ragione, perché non era facile stare così vicino a Maradona. Perché era così grande che ti metteva grande soggezione. Massimo era un numero 10, giocava nelle sue possibilità fisiche, era forte, era un bel palleggiatore, aveva talento.

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