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I Miami Heat ora preoccupano sul serio: da finalisti a delusione NBA

Zero continuità, vittorie in serie seguite da clamorose cadute, difesa lontana parente di quella vista agli scorsi Playoffs e attacco irriconoscibile. Il tutto mentre Jimmy Butler continua a giocare la miglior pallacanestro della carriera vedendo però dilapidati tutti i suoi sforzi. Dove sono finiti i Miami Heat finalisti NBA?
A cura di Luca Mazzella
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Dopo 62 partite ad attendere invano di rivederli nella versione bolla 2020 è il caso di dirlo: i Miami Heat 2020-21 sono stati, finora, una delle più grandi delusioni dell'anno.

La sconfitta interna della notte NBA appena passata, contro i Chicago Bulls che potenzialmente potrebbero incontrare nei play-in spareggio che inizieranno tra due settimane, non è che l'ennesimo campanello di allarme di una squadra che fatica clamorosamente a trovare continuità, incappando in filotti di vittorie seguiti da periodi di totale blackout.  E che, con 10 partite ancora da giocare, sta davvero mettendo a repentaglio la qualificazione diretta ai Playoffs dopo aver disputato e perso dignitosamente nonostante il gap tecnico rispetto ai Los Angeles Lakers le Finals NBA della scorsa stagione. Con i Knicks e gli Hawks definitivamente lanciati e una Boston che sta provando a ritrovarsi dopo la trade deadline, la settima piazza attualmente occupata dal team allenato da Erik Spoelstra appare la posizione più consona a inquadrare l'altalenante rendimento di un team troppo lontano dal gruppo coeso e difensivamente arcigno ammirato pochi mesi fa a Orlando.

Di striscia in striscia

Nelle ultime 10, Miami ha un record di 5 vittorie 5 sconfitte, alcune delle quali particolarmente sanguinose (vedi quella di stanotte contro Chicago o quella contro Minnesota), ma l'impressione più generale è che ad ogni sospiro di sollievo per una crisi solo paventata con filotti di sconfitte riscattati da strisce di vittorie consecutive, la squadra ricada nelle medesime incertezze, ingolfandosi su un gioco che troppo spesso si poggia su un Jimmy Butler mai così forte (career high in rimbalzi, assist, palle recuperate, percentuale dal campo, percentuale da 2 e PER – Player Efficiency Rating) e che continua a cercare occasionalmente l'exploit di turno, tra un buon momento dell'underdog Kendrick Nunn, l'impatto da subito positivo di Dewayne Dedmon e di un Trevor Ariza che sembra rinato in Florida e il rendimento di Bam Adebayo, a cui non si può chiedere ogni notte di vestire i panni della super-star. Né Tyler Herro, le cuie distrazioni i fuori dal campo sembrano destare preoccupazione, né un Duncan Robinson al quale le difese avversarie hanno preso le misure, stanno replicando quanto visto lo scorso anno e se Goran Dragic, 35 anni il prossimo 6 maggio, si concede qualche partita per rifiatare mancano dei giocatori in grado di creare dal palleggio e generare punti facili con la palla tra le mani. A tutto ciò si aggiunga l'infortunio di Victor Oladipo, arrivato a ridosso del termini per gli scambi di marzo e che poteva realmente colmare lacune offensive e di realizzazione nel reparto esterni, e il gioco è fatto.

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Da metà febbraio Miami è stata in grado di vincere 11 volte nell'arco di 12 partite, salvo incappare subito dopo in 6 sconfitte di fila, poi nuovo filotto di 4 risultati positivi, e di nuovo mini-serie di 3 sconfitte e 3 vittorie. Troppo poco solidi, troppo vulnerabili in difesa, eccessivamente sicuri nelle dichiarazioni fuori dal campo. Per un Adebayo che, dopo la sconfitta della corsa settimana con gli Hawks, faceva mea-culpa sull'impegno profuso, un Butler che altro non chiede se non di portare la squadra ai Playoffs, "Poi al resto penserò io", dice. Sullo sfondo, la prossima free agency che sembra la giusta finestra per inserire a roster quel Kyle Lowry solo accarezzato nelle scorse settimane e la prepotente ascesa dei Brooklyn Nets che nel giro di sei mesi sono riusciti a creare una corazzata che oggi sembra imbattibile. Chi prova a vedere il bicchiere mezzo pieno ricorda che anche l'anno scorso gli Heat disputarono una stagione regolare di questo tenore (finirono quinti con un record di 44-29) salvo poi compattarsi in post-season, ma tra mancanze strutturali come un Jae Crowder mai realmente rimpiazzato e la competitività generale della Conference che sembra aumentata a dismisura in tanti sembrano rassegnati al fatto che la dimensione reale di questo roster non sia tanto superiore a quanto visto finora. Con queste premesse replicare il risultato dell'anno scorso sembra fantascienza.

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