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Luca Sinigaglia muore nel tentativo di salvare Natalia Nagovitsyna sul Pobeda Peak: giace a 6900 metri

L’alpinista italiano Luca Sinigaglia è morto sul Pobeda Peak, in Kirghizistan, nel tentativo di salvare la vita della russa Natalia Nagovitsyna: è rimasto intrappolato a causa di una bufera di neve, il suo corpo giace a 6900 metri di altezza. Recuperare il corpo è molto difficile.
A cura di Paolo Fiorenza
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Luca Sinigaglia è un eroe italiano: è morto nel tentativo di salvare una alpinista come lui, la russa Natalia Nagovitsyna, che era rimasta bloccata con una gamba rotta sul Pobeda Peak, insidiosa montagna over 7000 del massiccio del Tien Shan, in Kirghizistan. Appena ha saputo che Natalia era in gravissima difficoltà (e lo è ancora, con speranze ridotte al lumicino di recuperarla viva), Luca non ha avuto dubbi e ha fatto la cosa più umana che poteva, pur sapendo che sarebbe stato pericolosissimo e avrebbe messo a rischio la sua stessa vita: assieme a un alpinista tedesco, è salito fino a raggiungere la russa e le ha prestato assistenza, ma è rimasto a sua volta bloccato in quota e la notte gelida è stato un nemico che si è preso la sua vita, pur essendo allenatissimo e con tante scalate di successo in carriera (qui sotto il suo ultimo post del 13 luglio).

Del resto, è questa la montagna nel suo spirito più puro: soccorrere altri alpinisti in difficoltà, anche sconosciuti, è una cosa che sgorga naturale. Esiste un codice etico non scritto, una sorta di solidarietà ad alta quota, soprattutto quando in ballo c'è la vita. Operazioni di salvataggio improvvisate da chi si trova nella stessa zona di chi è in pericolo non sono infrequenti e purtroppo non di rado finiscono in tragedia. A migliaia di metri di altezza, quando si fa fatica anche a respirare per il poco ossigeno, le sfide sono contro la natura e i propri limiti, non c'è rivalità. La consapevolezza di condividere gli stessi rischi crea anzi un legame implicito: ci si aiuta, si condividono risorse o informazioni, e in caso di emergenza si cerca di fare il possibile per aiutare gli altri. È una questione di sopravvivenza.

Luca Sinigaglia non ha esitato un attimo: è andato in soccorso di Natalia Nagovitsyna sul Pobeda Peak

Lo scorso 12 agosto la Nagovitsyna si era fratturata una gamba mentre scendeva dalla cima del Pobeda Peak (7439 metri, 16sima vetta al mondo), noto anche col nome kirghiso di Jengish Chokusu. Si tratta della montagna non solo più alta del Tien Shan (catena montuosa che si trova al confine tra Asia centrale e orientale) e dell'intero Kirghizistan, ma anche più difficile e pericolosa tra tutti i ‘Settemila' che si stagliano sul territorio dell'ex Unione Sovietica.

Appena la notizia è arrivata ai campi posti più in basso, Luca ha capito che non c'era tempo da perdere: si è dunque lanciato su assieme a un alpinista tedesco. I due sono riusciti a raggiungere la Nagovitsyna e le hanno dato un sacco a pelo, un fornello, un po' di cibo e una bombola di gas, ovvero il kit essenziale per la sua sopravvivenza per qualche giorno, al netto del terribile gelo notturno. Esausti per l'ascesa fatta di corsa e sorpresi da venti di burrasca e visibilità zero, Sinigaglia e il compagno hanno trascorso la notte sulla montagna e a Luca si sono congelate gravemente le mani.

Luca Sinigaglia è morto sul Pobeda Peak in Kirghizistan
Luca Sinigaglia è morto sul Pobeda Peak in Kirghizistan

Successivamente i due soccorritori hanno tentato di raggiungere nuovamente Natalia passando per il picco Vazha Pshavela, ma sono stati sorpresi da una bufera di neve che li ha intrappolati a circa 300 metri sotto il punto in cui avevano raggiunto la russa. Sono stati dunque costretti a trascorrere un'altra notte lì nei sacchi a pelo, ma le condizioni di Luca sono rapidamente peggiorate e un medico consultato via radio ha ipotizzato in quel momento che soffrisse di edema cerebrale da alta quota, aggravato da ipotermia e congelamento.

Luca è morto a 6900 metri di altezza: recuperare il corpo è molto difficile

Il giorno dopo, venerdì 15 agosto, l'alpinista italiano è morto a circa 6900 metri di altezza. Il suo corpo si trova ancora in una grotta e le condizioni meteorologiche avverse ne hanno rallentato il recupero, esattamente come sta avvenendo ancora per la russa, che purtroppo sembra anche lei a un passo dal cedere: un altro sorvolo di drone, dopo quello del 19 agosto che invece aveva dato speranze, sembra non aver colto alcun segnale di vita.

Luca è morto a migliaia di chilometri di casa, sulle montagne che erano la passione della sua vita, come si può vedere nei post dei suoi profili social. In estate era sempre lì, sui massicci imponenti, meravigliosi e al tempo stesso spaventosi dell'Asia centrale. A cercare di toccare il cielo e salvare vite se necessario.

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