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“Devi soffrire!”: le urla feroci dell’allenatore a Garozzo, dietro c’è una strategia

Le parole di incoraggiamento del maestro Fabio Galli ha urlato a Daniele Garozzo durante la finale di fioretto contro Cheung Ka Long alle Olimpiadi di Tokyo 2020 sono diventate un caso ma dietro quella espressione c’è un mondo. L’espressione “Devi soffrire” ci apre una finestra sul legame che gli atleti intrattengono con i loro formatori e cosa vuol dire far parte di una squadra.
A cura di Vito Lamorte
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"Devi soffrire". Un'affermazione che è diventata un trend sui social in pochi secondi nel corso di una gara delle Olimpiadi di Tokyo 2020 ma che per un'atleta, spesso, è la normalità. L'approdo alle manifestazioni sportive di rilievo come i Giochi Olimpici è frutto di un lavoro faticosissimo, fatto di grande applicazione, basato sulla forza mentale e fisica in un percorso molto lungo. Chi riesce ad avere più continuità, più propensione al lavoro riuscirà a portare a casa il maggior numero di risultati positivi. C'è bisogno del talento, delle qualità individuali, ma anche dell'abnegazione e della voglia di sacrificarsi per migliorarsi e andare oltre le proprie capacità. Le parole che il maestro Fabio Galli ha urlato a Daniele Garozzo durante la finale di fioretto contro Cheung Ka Long per qualcuno possono sembrare esagerate, sono diventate oggetto di ironia e probabilmente hanno colpito per il modo in cui sono state dette, ma in quella espressione piuttosto forte c'è condensato un mondo che potremmo riassumere, in maniera molto elementare, in due punti.

Numero uno. C'è il legame tra un allenatore e un atleta, che lavorano a stretto contatto per tanto tempo e si trovano sul palcoscenico sportivo più importante per cercare l'impresa. A raccontare l'unione che si crea è stato lo stesso Galli qualche tempo fa in un'intervista a pianetascherma.com: "Per me è fondamentale, io dico che li sento, li sento proprio da un punto di vista fisico, sia quando tirano che quando faccio lezione. Non penso che riuscirei ad allenare una persona che non sento vicina da un punto di vista umano". 

Numero due. C'è la volontà di essere da supporto anche da lontano da parte del maestro nei confronti dell'allievo. Una volta sulla pedana lo schermidore è solo, non ha più niente e nessuno a cui appigliarsi, e quell'affermazione, arrivata sul 10-5 per Cheung, è stato un modo per cercare di stargli vicino in un momento di difficoltà. Daniele Garozzo ha dovuto fare i conti con un problema alla coscia destra sul 6-5 e alla ripresa, dopo l'intervento del fisioterapista, l'avversario aveva preso il largo. Sempre nella stessa intervista Galli parlò così della solitudine dello schermidore in gara: "Quando vanno in pedana gli atleti sono soli, una volta che si tirano giù la maschera sono solo loro e l’avversario, e tante volte il peggior nemico dello schermidore è se stesso".

La strategia, il modo in cui affrontare l'avversario e le tattiche da adottare sono una parte fondamentale dello sport, soprattuto in una disciplina attentissima ai dettagli come la scherma, ma spesso dimentichiamo c'è un'altra parte fatta di empatia e di rapporti umani che va oltre. Ecco, quella parte lì spesso permette di tirare fuori anche qualcosa in più e anche Garozzo oggi lo ha dimostrato.

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