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Cesare Prandelli era finito in un gorgo, poi è arrivato Antonio Conte: “Mi ha sorpreso”

L’ex ct della Nazionale non cambia idea, ha scelto di chiudere con la carriera di allenatore: “Generazioni diverse, gestioni diverse, programmi diversi… mi sono reso conto che ero arrivato”. E nel momento più difficile ha ricevuto un sostegno speciale.
A cura di Maurizio De Santis
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Cesare Prandelli, ex allenatore e ct della Nazionale italiana.
Cesare Prandelli, ex allenatore e ct della Nazionale italiana.

L'ultima volta che la Nazionale si è qualificata ai Mondiali c'era Cesare Prandelli in panchina. Correva l'anno 2014, una vita fa. In Brasile le cose andarono malissimo e il ct, che non cercò attenuanti né scaricò la responsabilità su altri, fece l'unica cosa che sentiva giusta: rassegnò le dimissioni chiarendo che erano "irrevocabili", fece la stessa cosa anche il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, perché dinanzi a una disfatta del genere fare un passo indietro non è disonorevole.

Dopo due lustri gli Azzurri sono tornati al punto di partenza senza passare dal via, mentre la vita di Prandelli è andata avanti fino a prendere una strada differente. È rimasto ancora per un po' in panchina con alterne fortune (Galatasaray, Valencia, Al Nasr, Genoa e Fiorentina) poi un giorno ha deciso che quel mondo non era più il suo e gli stava stretto fino a togliergli il respiro. L'ex allenatore stava male dentro e in quella dimensione surreale che è stato il calcio nel biennio del Covid, in stadi vuoti in cui rimbombava anche l'anima ("sembrava una bolla marziana"), ha ritrovato se stesso dopo aver rischiato di perdersi. Quando ha sentito l'acqua alla gola, mani tese che l'hanno aiutato a trarsi d'impaccio.

Tantissimi giocatori che ho avuto alla Fiorentina. Anche molti colleghi ma devo dire quello che mi ha sorpreso per la straordinaria umanità è stato Antonio Conte. Poi anche Gasperini, Stefano Pioli.

Prandelli ha chiuso con la carriera di tecnico, due anni fa l'ultima panchina.
Prandelli ha chiuso con la carriera di tecnico, due anni fa l'ultima panchina.

"Un vuoto nero, un gorgo di nulla". Così Prandelli ha descritto quella sensazione strisciante che, come goccia su pietra, aveva eroso poco alla volta antiche certezze. Il punto di non ritorno fu durante un Sampdoria-Fiorentina di febbraio 2021, il gol di Quagliarella (quello del raddoppio dei liguri) mandò in frantumi ogni cosa.

Era il segnale – ha raccontato l'ex ct nell'intervista al Corriere della Sera -. In quel momento mi mancò il respiro per dieci secondi. Non mi ero mai sentito così, ho provato tante volte adrenalina ma quella situazione di vuoto che provai fu spaventosa. Forse è stato per il troppo amore verso la Fiorentina o per la grande responsabilità che avvertivo ma, dietro suggerimento di persone che sanno gestire questi stati d'animo, decisi di staccare un po' la spina.

Quella spina Prandelli non l'ha più riattaccata, scegliendo di dedicarsi a se stesso, agli affetti più cari che gli sono rimasti dopo aver sofferto a lungo per la malattia e per la morte della moglie (2007). "L'unica panchina sulla quale mi vedrete è quella al parco, coi miei nipoti", ha ribadito di recente in una trasmissione radiofonica. A distanza di due anni dall'ultima volta da allenatore (21 marzo 2021, Fiorentina-Milan 2-3), niente l'ha persuaso a cambiare idea.

Sto bene. Avevo solo bisogno di star fuori dal quel tipo di vita frenetica e un po' schizofrenica.

Tornare nel mondo del calcio è opzione possibile per l'ex ct ma in una veste differente.
Tornare nel mondo del calcio è opzione possibile per l'ex ct ma in una veste differente.

Semmai dovesse tornare a stretto contatto col mondo del calcio, lo farebbe in altra veste. Non certo come allenatore, ha fatto il suo tempo e Prandelli non ha alcuna remora ad ammettere che tra quelle mura dove un tempo si costruiva un legame forte, stretto quasi fosse una famiglia oggi si sentirebbe come uno che "sul cavolo a tutti". Perché? Gli bastano tre parole e un aggettivo che fa da filo conduttore per andare al nocciolo della questione.

Generazioni diverse, gestioni diverse, programmi diversi… mi sono reso conto che ero arrivato e che quel mondo non faceva più per me. Ho sempre lavorato basandomi sulle relazioni. Quando mancano allenare diventa solo un lavoro da calcolatore, freddo, in cui i dati sono preponderanti rispetto all'aspetto umano.

E cita ancora un esempio di disagio e senso d'inadeguatezza provato sulla pelle. Perché farselo piacere per forza? Ti adatti e ti adegui oppure vai per la tua strada. Prandelli aveva già capito tutto.

La cosa imbarazzante è quando tu finisci l'allenamento. Entri nello spogliatoio e tutti hanno il telefonino in mano. Nessuno di prende un po' di tempo, anche dieci minuti, per parlare della partita che hai perso o di qualche altra situazione. Magari i calciatori sono molto più seri e professionisti rispetto a noi, ma hanno una concezione diversa del lavoro che deve essere accettata.

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