
Dal 30 maggio è disponibile And just like that 3, il sequel riveduto e politicamente corretto di Sex and the City. Nulla di nuovo sotto il sole di New York: tornano le protagoniste Sarah Jessica Parker, Cynthia Nixon e Kristin Davis insieme alle new entry Sarita Choudhury e Nicole Ari Parker, ovvero Seema e Lisa per raccontare le vicissitudini di un gruppo di donne molto benestanti alle prese con carriera, amore e sesso senza mai scendere dai tacchi a spillo.
Troviamo Carrie, la protagonista interpretata da Sarah Jessica Parker, alle prese con una relazione a distanza con Aiden (John Corbett), costretto a dividersi tra la grande mela e la Virginia per assistere suo figlio Wyatt. Rimasta sola in una casa scarsamente arredata – ma con una cabina armadio da sogno – Carrie sta scrivendo non senza qualche difficoltà il suo primo romanzo di finzione. La storia d’amore con Aiden proseguirà o Carrie tornerà a essere l’eterna “ragazza” single di New York che ha fatto sognare milioni di fan? La risposta ci interessa poco o nulla perché la trama in And just like that… lascia il tempo che trova. Ciò che conta è il contorno fatto di case con vista su Central Park, abiti firmati e accessori costosissimi.

Sex and the City è diventata una serie culto dalla prima messa in onda diventando un fenomeno di costume con pochi precedenti nella storia della cultura pop. La prima stagione sdoganò l’idea di una donna “forte, tosta, indipendente” (cit.), sessualmente emancipata e padrona del proprio destino. Si tratta di un femminismo decisamente alto-borghese e poco politico, in cui la libertà è direttamente proporzionale alla disponibilità economica. Carrie, Miranda, Charlotte e Samantha sono le quattro declinazioni della stessa idea di donna emancipata per cui l’autodeterminazione passa attraverso il consumo di beni ma anche di uomini. Dopo il successo della prima stagione, Sex and the City smise di essere solo un interessante racconto delle donne newyorkesi over-trenta e diventò un fenomeno di costume creando tendenze – le collanine con il nome, le scarpe Manolo Blahnik e la già citata cabina armadio – e influenzando almeno due generazioni di donne su questioni come la carriera, le abitudini sessuali e, ça va sans dire, le relazioni.
La serie di Sex and the City si è conclusa nel 2006 ed è proseguita sul grande schermo con un paio di film decisamente dimenticabili. Ma la forza del “marchio” Sex and the City non si è mai spenta e l’arrivo dell’on demand ha dato alla serie una nuova vita facendola conoscere anche alle persone più giovani che tuttavia non hanno potuto fare a meno di notare alcune criticità. La più evidente è la mancanza di personaggi non bianchi ma anche il ricorso a stereotipi per raccontare le persone LGBTQI+ oltre alla mancanza di qualsiasi forma di “conflitto” o tema sociale davvero rilevante. Il multiverso Sex and the City vive in una bolla di privilegi impermeabile a qualsiasi evento esterno, se si fa eccezione per l’11 settembre che fece una timida comparsa nella quarta stagione e costrinse i creatori della serie a togliere l’immagine delle Torri Gemelle dalla sigla originale.

Anche Donald Trump, all’epoca un semplice magnate immobiliare di New York si concesse un’apparizione nella serie ma solo per un brevissimo cameo. L’attualità in Sex and the City è quasi del tutto assente e And just like that non fa eccezione. Ed è forse questa la sua forza. Michael Patrick King, sceneggiatore, regista e produttore esecutivo della serie, sa come muovere i suoi personaggi e tiene le redini della storia muovendo gli intrecci in quella innocua inconsistenza zuccherosa che al pubblico piace amare ma anche odiare. Le protagoniste sono a volte ridicole, goffe e a tratti inopportune, ma è proprio questo a tenerci incollati – ma soprattutto incollate – allo schermo. Carrie, Miranda, Charlotte e compagnia affrontano questioni reali come le relazioni a distanza, la malattia, il rapporto problematico con i figli ma in un contesto totalmente irreale in cui le donne si muovono tutti i giorni sul tacco 12 senza mai avere male ai piedi e dove la domanda “come possono permettersi quei vestiti?” non avrà mai risposta.
Ed è proprio questa la forza di un format che, come le sue protagoniste, sembra non invecchiare mai: in un mondo piegato dai conflitti e dalle tensioni geo-politiche in cui proprio quelle generazioni cresciute con Sex and the City stanno pagando il prezzo di recessione e inflazione, è piacevole rifugiarsi nel confortevole multiverso di Carrie Bradshaw. And just like that 3 va vista proprio con questo spirito per poterne godere a pieno, dimenticandosi dei propri problemi per 45 minuti. Dalla stanza tutta per sé di Virginia Woolf al terracielo di Carrie Bradshaw a Manhattan il passo è tutt’altro che breve, ma che importa. Come cantava qualcuno “togli la ragione e lasciaci sognare in pace”.
