
Roberto Benigni che parla per due ore di San Pietro fa 3.968.000 spettatori e il 24.4% di share. Quasi quattro milioni di italiani che rinunciano a Netflix, allo scroll compulsivo su TikTok, alla Champions League, per stare lì ad ascoltare un monologo. Se questo non è un miracolo, poco ci manca.
In un'epoca dove l'attenzione media è quella di un pesce rosso, tenere incollati quattro milioni di persone per due ore è una cosa da chirurgo della parola. Benigni questo lo sa fare. Lo ha sempre saputo fare.
Però Roberto Benigni non è più un evento
C'è un però grande come una cattedrale. Perché i numeri, certo, ci sono. Ma da tempo, ormai, attorno a Roberto Benigni manca la sensazione dell'evento. Gli resta l'aura da intoccabile della cultura, ma non c'è più quella di chi faceva le corse per tornare a casa da lavoro e spaparanzarsi sul divano, godendosi quello che era "l'evento". Quello che il giorno dopo tutti ne avrebbero parlato perché irripetibile.
Vi ricordate quando Benigni era Benigni? Non sto parlando del 1994, della Vita è bella, o delle notti degli Oscar. Sto parlando di quando Benigni in TV era un terremoto. Quando ti mettevi lì, sapendo che qualcosa sarebbe successo. Che avrebbe detto qualcosa di scomodo, che avrebbe provocato, che si sarebbe arrampicato sulle poltrone per gridare qualcosa che metà Italia avrebbe amato e l'altra metà odiato. Quello era un evento. Questo, ieri sera, cos'è stato? Un signore di settant'anni che recita poesie nei giardini vaticani mentre il Papa gli dice "è così bello". Dolce. Commovente, pure. Ma non è un evento, è una cartolina.
Il vero Benigni è morto con Berlusconi
E qui arriviamo al punto. Benigni non è morto – ci mancherebbe – ma il Benigni che conoscevamo è morto. E sapete quando è morto? Con Silvio Berlusconi. Perché vedete, cari amici, Benigni era il perfetto contraltare di Berlusconi. Uno che incarnava il potere, l'altro che lo sbeffeggiava. Berlusconi era il re, Benigni era il giullare. E in quella dinamica – quella tensione, quella polarità – Benigni aveva un senso, una funzione. Brillava ed era pure necessario. Poi Berlusconi è uscito di scena e, paradossale, con la destra salita al potere che cosa è diventato Benigni? Un monumento nazionale. Un tesoro vivente. Quello che fa le serate su Dante, che va dal Papa, che tutti rispettano e nessuno contesta più. È diventato istituzionale. E l'istituzionalità, per un artista come lui, è la morte.