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La Rai ora ha un grosso problema, lo dice la legge europea per la libertà dei media

Dopo l’approvazione della legge europea arriva da più fronti la polemica sulla Rai, il cui modello di governance non autonomo rispetto alla politica è stato definito di fatto fuorilegge dal numero dell’associazione delle tv europee. Ci ha scherzato su anche Fiorello: “Politica fuori dalla Tv? La Rai è finita”.
A cura di Andrea Parrella
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Nella giornata di mercoledì 13 marzo 2024 i deputati del Parlamento europeo hanno dato il via libera definitivo alla legge europea per la libertà dei media, ovvero il European Media Freedom Act. Il testo è stato approvato con 464 voti favorevoli, 92 voti contrari e 65 astensioni, tra cui quelle degli eurodeputati di Lega e Fratelli d’Italia, di fatto spaccando la maggioranza di governo italiana. Ma la notizia non è (solo) questa.

Cosa dice la legge europea per la libertà dei media

La legge europea in questione si pone l'obiettivo di incidere su vari aspetti. Protegge il lavoro dei giornalisti, garantisce l'indipendenza editoriale dei media pubblici, la trasparenza della proprietà dei servizi pubblici televisivi, stabilisce un'equa ripartizione della pubblicità statale e protegge la libertà dei media dalle grandi piattaforme. A seguito del voto sulla legge, tuttavia, in Italia si è sviluppato dibattito relativo alla non conformità delle dinamiche Rai con la legge europea per la libertà dei media.

Le parole del consigliere Rai eletto dai dipendenti

Lo hanno detto le opposizioni, lo ha ribadito ironicamente Fiorello a Viva Rai2 ("politica fuori dalla Tv? La Rai è finita", ha detto ironicamente) e lo ha ribadito anche il consigliere d'amministrazione Rai eletto dai dipendenti, Davide Di Pietro, con una nota attraverso la quale ha spiegato quale sia il problema della Rai in relazione a questa legge:

I criteri di nomina dei vertici Rai, determinati in forza di una legge di Riforma del 2015 di cui sono peraltro noti da tempo i tratti di incostituzionalità, non sono in linea con i principi del Media Freedom Act europeo ora finalmente recepito. A ben vedere, ad oggi, solo un componente su sette in Cda è eletto con procedure assolutamente trasparenti mediante elezione da parte dei dipendenti, espressione di una indicazione che proviene dal basso e non dai partiti e dal Governo di turno. L'assoggettamento delle cariche apicali al controllo dell'Esecutivo e più in generale le note ingerenze dei partiti, riverberano nefasti effetti a cascata su tutte le nomine interne in special modo dirigenziali e sui contenuti editoriali che dovrebbero essere concepiti e sviluppati nell'esclusivo interesse dei cittadini utenti, che finanziano il servizio pubblico televisivo, e non già di partiti e esponenti politici di ogni colore e orientamento. È la basedella democrazia. Il valore della trasparenza e del merito sono universali e costituirebbero già ora un preciso impegno per coloro che sono chiamati ad assumere delle scelte anche in previsione del prossimo rinnovo del Consiglio di Amministrazione Rai.

In cosa consiste la riforma Rai del 2015

Ma in cosa consiste la riforma del 2015 della Rai menzionata da Di Pietro? Si tratta di una legge che ha introdotto modifiche normative alla gestione del servizio pubblico, modificando il Testo unico della radiotelevisione. Tra le modifiche introdotte, c'è quella relativa alla designazione del CdA della Rai, che passa da 9 membri a 7, di cui quattro nominati da camera e senato, due dal governo (tramite il Ministro del Tesoro quale azionista), e uno dall'assemblea dei dipendenti. Inoltre dal 2015 il ministero dell’Economia sceglie il capo azienda, ovvero l'amministratore delegato, la cui unica possibilità di essere licenziato è che a deciderlo sia il Consiglio di amministrazione, che però per maggioranza è composto da nomi espressione del governo, il che significa che sfiduciare l'Ad della Rai equivarrebbe a sfiduciare un ministro.

Rai e incostituzionalità, il problema dell'azienda dal 2015

Insomma, un meccanismo che secondo più tecnici presenta elementi di incostituzionalità. Bisogna infatti ricordare bene i principi (tuttora validi) che pose la sentenza n.225 del 1974, stabilendo che "gli organi direttivi della società non devono essere costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo”. Come aveva scritto in questo articolo Roberto Zaccaria, presidente Rai dal 1998 al 2002 analizzando l'attuale modalità di composizione della governance Rai: "Purtroppo nel 2015 è stata fatta una riforma della Rai che ha consegnato nelle mani del Governo la nomina dell’Amministratore delegato, la figura più importante dell’azienda. Una riforma palesemente viziata da incostituzionalità".

La Rai fuorilegge, le parole di Noel Curran

Tornando alla legge europea per la libertà dei media e al reclamo di Di Pietro, il passaggio sui criteri di trasparenza diventa ancora più determinante. Lo European Media Freedom Act prevede infatti che, per evitare che gli organi di informazione pubblici siano strumentalizzati a scopi politici, i dirigenti e membri del consiglio di amministrazione vengano selezionati per un mandato sufficientemente lungo sulla base di procedure trasparenti e non discriminatorie. Chiarezza che, in questo momento, in Rai non è garantita. Aspetti che, come annunciato dal direttore generale dell’European Broadcasting Union (Ebu) Noel Curran in commissione di Vigilanza Rai nelle scorse settimane, rendono di fatto fuorilegge la dirigenza attuale di viale Mazzini:“Viale Mazzini non è autonoma, non rispetterà i criteri del Media Freedom Act”.

È lecito chiedersi se il voto su questa legge genererà una sufficiente massa critica per portare il dibattito verso una nuova riforma dell'azienda, che renda la Rai nella direzione di un modello più equilibrato, ispirato ad esempio all'eternamente menzionato standard della BBC, che proprio nei criteri di nomina del trust e dei consiglieri eccelle distinguendosi come un meccanismo sul quale la politica riesce ad avere scarda influenza.

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