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Nanni Moretti, splendido 70enne: perché non essere d’accordo è sempre necessario

Nanni Moretti compie 70 anni ed è impossibile raccontarlo per intero perché “le parole sono importanti”, ma “sono solo parole”. Forse meglio celebrarlo con una Sacher. Oppure litigando con qualcuno. Perché non essere d’accordo è necessario sempre. E il regista lo rivendica da cinque decenni vissuti splendidamente sul grande schermo tra nevrosi, politica, fastidio, misantropia, dissenso e Tavor.
A cura di Grazia Sambruna
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foto di Guido Harari, in mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara
foto di Guido Harari, in mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara

La verità è che non mi piacciono gli altri”. Oggi, 19 agosto  2023, Nanni Moretti, il misantropo più autorevole del cinema italiano compie 70 anni e per celebrarlo tutti si sperticano in lodi, ricordano le sue storiche citazioni, si interrogano sul peso politico-sociale della filmografia che ci ha donato. In poche parole, bramano l’applauso per aver compreso il genio, l’artista, il caustico narratore dei nostri tempi e animi che ha iniziato nei Settanta e ancora oggi non ha smesso di disprezzare, macchina da preso alla mano, tutte le storture del mondo in cui ci tocca vivere.

Quando poi per festeggiarlo basterebbe mangiarsi una Sacher. Perché riassumere cinque decenni di cinema in un solo papiello è chiaramente impresa arrogante, oltre che impossibile. Qualcosa che potrebbe ritenere fattibile forse solo il preside della scuola superiore Marilyn Monroe, quella del film – capolavoro – Bianca (1984). Le nevrosi, l’impegno politico, le commedie, i drammi, l’introspezione, la Sinistra. Si può scrivere qualcosa su Nanni Moretti che non suoni terribilmente cliché? Probabilmente, no. E allora ci proviamo lo stesso perché “le parole sono importanti”, non “sono solo parole”, anche se cantarlo insieme a Noemi, come ne Il Sol dell’Avvenire (2023), alle volte diviene necessario, liberatorio. Piccole, estemporanee elargizioni di grazia che a poco valgono. Perché “la felicità è una cosa seria, no? E allora, se c’è, deve essere assoluta”.

Nanni Moretti è assoluto. O, almeno, così sono i personaggi dei suoi film, quindici totali esclusi corti e documentari. Ombelicali allo sfinimento, ma quasi mai noiosi, sono lì, perennemente infastiditi. E per dare fastidio. Tengono un problema, magari uno soltanto, più o meno grave: la solitudine, la necessità di affrontare un’improvvisa malattia o l’imminente nascita di un figlio, la mancanza di idee per un nuovo film, la perdita di una persona cara, l’amore, la politica, Il Caimano e D’Alema che non reagisce. Non ci sono mezze misure nel racconto, tutto è bianco o nero, giusto o sbagliato. E da qui, allora, ci si può indignare. Per i sabot, per la torta quando non è una Sacher, per l’idiozia generale, sistemicamente diffusa, impossibile da combatte. Eppur, si combatte.

Si combatte raccontandola, partendo da uno straniamento che regala quell’amarissima verve comica a ogni sua pellicola. Perfino nelle più drammatiche, da La Stanza del Figlio a Mia Madre, c’è qualche scintilla di sarcasmo, pur dolorosissimo. Nanni Moretti personaggio non capisce, si interroga, si dilania di dubbi a ogni scena. Anche quando tace non è compiaciuto. Né d’accordo. Quindi esplode regalando al pubblico monologhi memorabili, ricordando a chi guarda che non va tutto bene, fin dai più infinitesimali dettagli la realtà è allarmante. Ma, come Il Caimano, non è possibile raccontarla. Solo i più giovani credono ancora di poterlo fare, alle volte, poi, è statistica, gli passa, è solo una fase. Cosa farsene, dunque, di una realtà impossibile da raccontare con una visione d’insieme precisa, comune, indubitabilmente “giusta”? Niente. Oppure metterci la faccia. Arrivando a “diventare” perfino Silvio Berlusconi, sul grande schermo. “L’Italia è il Paese che amo”, diceva il Cavaliere. E infatti siamo “un popolo a metà tra l’orrore e il folklore” e a chi se ne rende conto “piacerebbe conoscere l’inventore del Tavor, lui sì che fa star bene la gente, lui sì”.

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Nanni Moretti rifugge da ogni aggettivo, anche solo per un senso di profondo rispetto, di riverenza da parte di qualunque persona dotata di buonsenso che si proponga di scriverne. Non volendo insegnare niente, ha dimostrato, manifestandosi controvoglia, la necessità del dubbio, del dissenso e pure del disprezzo, tante volte. Di non essere d’accordo. Come fosse un marziano che osserva dall’esterno le umane bizzarrie, i cortocircuiti in cui da sempre ci ingabbiamo, prende nota e ce li ripropone. Nella speranza di capirci qualcosa, forse lui per primo, almeno a livello narrativo. Che cosa hai fatto oggi? Solo primi piani. Ma ho litigato un po’ con tutti dice in Mia Madre (2015).

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E non potrebbe esserci migliore augurio, forse, soprattutto per noi: che non si azzardi, rispettosamente parlando, a farsi passare, mai, la voglia di litigare. In macchina, in fila al cinema, col vicino di casa, con chi gli passa a fianco e ha le scarpe sbagliate. Quando non gira in vespa, immerso nei suoi rissosi, riposanti, labirintici pensieri. In tanti hanno provato e provano a fare lo stesso. Nessuno ci è riuscito, non così. Disprezzato, amatissimo, in parte incompreso, premiato, sconfessato e ultimamente pure “slowburner”, una sola cosa riteniamo certa: non leggerà una singola parola di tutti gli elogi che gli verranno dedicati oggi. Perché “Sono solo parole” e “Le parole sono importanti”.

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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