
Quando il nuovo spettacolo di Alessandro Cattelan finisce, viene da chiedersi se la comicità non sia davvero il perimetro nel quale può esprimere il suo potenziale migliore. L'idea di Benvenuti nell'AI è ben confezionata in un'ora e mezza di racconti personali e riflessioni sul mondo, soprattutto quello virtuale. Il conduttore cede il passo allo stand up comedian e sembra liberare l'uomo da una corazza ingombrante. Cattelan è il primo a divertirsi molto e si vede, non ha un copione troppo serrato e si spoglia dei vestiti di scena. Letteralmente.
Il lancio della giaccia su uno degli amplificatori arriva quando detona l'affermazione secondo la quale non è vero che lo amano tutti, anzi, lo odiano sia gli "haters seriali (Selvaggia Lucarelli e Fabrizio Corona)" sia "il più buono di tutti", un insospettabile: Fabio Fazio. Il nome lascia impietriti, con un sorriso complice che dalla platea lo invita a dirne di più. E lui lo fa, rimanendo con la tshirt sulla quale sono stampati i suoi cani Marino Bartoletti e Cesara Buonamici.

Ci si sposta in Spagna, il racconto risale a qualche anno prima, quando, nuotando, c'è questo incontro con Fazio che è a sua volta in vacanza con la famiglia. "Ci siamo scambiati convenevoli, poi una chiacchiera sulle ultime interviste, lui aveva intervistato il Papa e io Enzo Salvi", da qui l'avvicinamento della moglie del conduttore di Che tempo che fa, che chiede al marito di invitare Cattelan "da loro" per un caffè. A quanto pare però viene trasferita una sensazione tiepida, di fronte la quale decade l'intenzione di salire su uno yacht che viene introdotto con la colonna sonora del Titanic, per opulenza e dimensioni.
Il giorno dopo un amico in comune manda un messaggio a Cattelan con una richiesta di Fazio, ovvero quella di non raccontare a nessuno del loro incontro. "Lì per lì ci sono rimasto male", dice, svelando l'evoluzione della storia. Dopo qualche tempo, lo stesso amico gli spiegherà che non c'era alcuna frizione particolare, solo la preoccupazione di essere raccontato come ‘il classico comunista con i soldi e la barca", pretesto che aveva già scatenato orde di haters sui social. Sipario. In senso figurato.

Il resto segue senza freni, dal Sanremo con Carlo Conti, in cui "nella serata finale ho letto tutti quei cognomi sul palco", all'avere come manager Marta Donà, "con la quale li vinci tutti i Festival ma non lo conduci mai". L'ironia, e l'autoironia, si infiltrano anche nel tessuto familiare, dal quale estrapola esilaranti aneddoti del quotidiano, dalla moglie che sbaglia finale di Wimbledon e lo porta in tutt'altro campo, alla figlia in crisi adolescenziale che cerca conforto ma si ritrova il papà intenzionato a vincere i campionati di comicità a sue spese.
Tutto è guidato da un forte senso di libertà, da un'intelligenza naturale che spinge in un angolo quella artificiale e ne mostra tutta la vulnerabilità. È uno spettacolo che rientra a pieno titolo nel genere "fa ridere ma anche riflettere", un'ora e mezza di risate incessanti e di cazzotti con la realtà. Alessandro Cattelan a teatro sembra essere nel posto più congeniale al suo talento, un posto in cui l'aspettativa non si traduce in un macigno. Il pubblico paga un biglietto, lo sceglie, sa perfettamente cosa sta andando a vedere. Liberarlo dal dover dimostrare di meritare uno spazio o dal dover essere il primo della classe è il primo passo per vederlo in azione con lo stesso candore con cui ha iniziato.
